di Emanuele Pestrichella
“Far votare adolescenti all’età di 16 anni è prematuro in ragione del fatto che nella scolarizzazione e nell’istruzione non viene prevista la sensibilizzazione di temi politici né tantomeno viene presentata la politica dal punto di vista dei giovani. Un tema caduto in oblio, i vecchi ideali politici vengono meno e spicca solo la bramosia di avere potere e vitalizio garantito (se si tratta di parlamentari) con un programma politico che, sovente, non viene mantenuto. Proprio perché la maggior parte delle persone adulte sono disinteressate e non partecipano alla vita politica cittadina della comunità, si provi a immaginare un adolescente di 16 anni che, senza retaggio e senza esempio da seguire, debba esprimere il voto in quanto elettore ed assumersi tale responsabilità”.Questo è il commento che è stato pubblicato per conto del quotidiano del nord-est “IL GAZZETTINO” scritto da me , Emanuele Pestrichella, sull’idea di proporre il voto anticipato a 16 anni anziché 18 anni. Nel mio breve intervento sostengo che la politica è diventato un completo gioco strumentale fatto da candidati politici che bramano potere e stipendio tale da far venire meno il senso originale e caratteristico della politica: il governo della polis e l’attuazione della res publica. Se non vengono ottemperati questi principi, il senso di governare, amministrare, gestire un territorio, un regno, una città o qualsiasi altra circoscrizione demografica, si svuota di significato. Una precisazione che chiarisce la strumentalizzazione della politica e della democrazia è che in tutti i regimi in cui il potere elettivo-nominativo è affidato al popolo, ogni coalizione o partito od organizzazione politica vuole accapparrarsi l’elettorato con lo strumento comune ai totalitarismi novecenteschi: i mezzi di comunicazione di massa.
Con il pubblicismo mediatico e con il propagandismo, spot elettorali scialbi e retorici irretiscono gli elettori.
I segretari generali dei partiti si propongono come persone latrici di innovazioni e di cambiamenti alla società. Vogliono essere gli alfieri di proposte salvifiche dai disastri politici, economici, ambientali. Peccato però che per la discordia generalizzata tra tutti i partiti, nel 2011 e in periodo pandemico, si sono dovuti chiamare tecnocrati (governo Monti, governo Draghi) che, con tutt’altre competenze, hanno dovuto apprendere come gestire un intero stato.
Anche virologi, tecnici specializzati nello studio delle malattie virali di rapida diffusione, si presentavano, a reti unificate, nelle televisioni, per fare il punto della situazione e per ammaestrare il popolo alle dovute precauzioni da attenersi per difendersi dal pericolo virale.
Dove sono i filosofi?
Che ruolo hanno esercitato in questi anni rispetto a tempi più antichi?
Oggi, purtroppo, non troviamo più filosofi cultori di tutte le materie, non troviamo più cultori che seguono l’enciclopedismo (modello secondo cui tutti i saperi, da quelli scientifici a quelli umanistici, vengono ricondotti ad uno schema unitario), non troviamo più i dotti (conoscitori e raccoglitori di tutti i saperi) ma persone settorializzate, specializzate in un loro ambito. Complice di questi scenari è la tecnica che induce le persone a sviluppare competenze in una determinata disciplina e a trascurare nondimeno le altre. Così facendo la formazione globale, a 360° gradi, dell’individuo, viene meno.
Non sono più i sofisti che scendono nelle piazze, ad acculturare le masse, su qualunque argomento, ma sono i tecnici che dispensano conoscenze specifiche e che riducono il repertorio delle persone.
Malgrado questo discorso, le parole non faranno niente, non cambieranno l’impostazione e la mentalità contemporanea. D’altronde non possiamo tornare indietro, dobbiamo rimanere al passo coi tempi. Chi si ferma è perduto..