di Emanuele Pestrichella
“L’itinerario percorso dalla filosofia negli ultimi secoli, ha segnato completamente oltreché la storia del pensiero occidentale, anche di quello planetario: dall’Ontologia alla Metafisica, dall’Idealismo all’Eternismo seguito da molti altri orizzonti speculativi che, in questa sede, non mi occuperò. Un esempio di prima grandezza, suggestivo che si staglia in questo sfondo teoretico è la filosofia di Giovanni Gentile, primo (e forse ultimo) esponente di punta dell’Attualismo, la cosiddetta <<Scienza dell’Atto>>.
Nella sua “Teoria Generale dello Spirito come Atto Puro” egli coglie, in chiave ipostatica, il carattere saliente della filosofia in generale, ma anche di tutte le filosofie che hanno costellato suddetto percorso. Per delucidare come Gentile la intese assolutisticamente vorrei richiamare l’attenzione del lettore sul compartimento testuale sopracitato, partendo da una premessa sulla scienza:”Oltre l’arte e la religione, dalla filosofia si distingue la scienza stricto sensu, in quanto la scienza non è filosofia, pur avendo della filosofia il carattere conoscitivo. Ma essa non ha della filosofia la universalità dell’oggetto; ne quindi il carattere critico e sistematico. Ogni scienza ha altre scienze accanto a sé, ed è perciò una scienza particolare; e dove supera i limiti dell’oggetto particolare, tende a trasformarsi in filosofia. Come scienza particolare, mirante cioè a un oggetto che è esso stesso particolare e può intendersi separatamente dagli altri oggetti, con i quali coesiste, la scienza si fonda su un presupposto naturalistico; poiché la realtà soltanto se si consideri come natura può pensarsi come composta di più elementi, tra i quali l’uno o l’altro possa essere assunto ad oggetto di indagine particolare”.
Da un chiarimento preliminare sul contenuto analitico della scienza, il filosofo siciliano è approdato ad una conclusione prevista, quella di considerare prima la scienza come ciò che investiga l’oggetto particolare e non universale quale compete la filosofia ma, in secondo luogo, quella di intenderla come ciò che affonda le radici sulla natura perché la realtà, parafrasando le parole Gentiliane, è l’esito di un processo naturale (secondo quest’ultima inferenza potremo correlare quanto appena detto con ciò che sia Hegel che Gentile stesso sostengono, ovvero quello di considerare la realtà come la storia del momento in cui lo Spirito si “cala sulla scena” e diviene, ovviamente nel momento in cui viene posto in essere, sistematizzando il pensiero come <<l’autocreazione della totalità della realtà>>, e tenendo a precisare che la precedente argomentazione investiva la Natura e non lo Spirito ma, con qualche maneggiamento, siamo comunque giunti a codeste conclusioni).Con questo epilogo, è possibile tracciare delle analogie tra la filosofia di Gentile e la filosofia del pensatore bresciano, Emanuele Severino, detentore della sua concezione eternistica della realtà?
Partiamo col dire che mentre l’Attualismo caldeggia l’assunto per cui la morte del mortale non è collocabile alla stregua dell’immortalità che investe l’Io Trascendentale, rifacendosi al Kantismo, che padroneggia, signoreggia la realtà diveniente dall’altra parte Severino sostiene che l’immortalità o l’eternità (l’equivalente Severiniano) non la possiede un Dio (tra l’altro il Dio Severinianamente inteso è un Dio nichilistico perché deve essere posto in essere e divinizzato dai cristiani con l’eccezione di provenire in quel momento e non da sempre e per sempre ma dal caso ossia dal nulla) bensì l’essente, la determinazione, l’entità che sia astratta o concreta poiché l’essente è il suo essere se stesso e non l’altro da sé e, cosa sarebbe questo se non qualcosa che rimane se (non si strappa da sé stesso e invade l’altro, per usare una nota formula di Severino) non diviene e quindi se immutabile è eterno?
Nei discorsi di Severino, senza tema di smentita, riecheggia la parola filosofia non con una radice di meraviglia, di amore per il sapere, ma con l’angosciato terrore che caratterizza gli uomini fin dai primordi per la morte e per l’imprevedibilità del divenire oltreché razionalizzarla come uno dei tanti rimedi (tra cui, in questa cornice, si inscrive la religione e la tecnica) per assegnare un senso alla vita stabile, duraturo e alle sorprese che riserva.
Un sapere stabile e in divenire è la destinazione di cui tutti siamo testimoni ovvero il destino, intendendo quel “de” etimologicamente come un rafforzativo e lo -stino come uno stare, un sapere stante e stabile.
Con quanto appena detto, ambedue i pensatori comprendono alla loro filosofia la qualifica dell’eternità l’uno incardinato su una figurazione, il cerchio dell’apparire, dove gli essenti compaiono e scompaiono nel loro divenire processuale (nel notorio esempio di Severino nel momento in cui la legna inizia il processo della combustione, appaiono i momenti, gli essenti, che divengono, cambiano dalla legna che si accende, inizia a brillare, continua a bruciarsi raggiungendo progressivamente l’altro, la cenere allorquando la legna si consumi del tutto), l’altro che giustappone il pensiero, come la creazione d’essere di ogni momento (cosa, realtà), all’eternità determinata anch’essa dallo Spirito e che signoreggia il tempo, lo spazio (così che vengano questi<<proiettati>> da esso in sé stesso). Ancora il pensiero, per Gentile, è il motore di tutte le cose, la “scatola” la quale ogni cosa che si trova al di fuori di essa e, che si lascia alle spalle (ogni cosa che viene pensata al di fuori del pensiero) non la si considera perché non esiste (viene pensata come non pensata contradditoriamente).„