TESORI NASCOSTI

 

LA CIVILTÀ DELLA BIBLIOTECA

 

Scritto di Francesco Scarangella.

Chi scrive in Polis Futura cerca, per quanto gli sia possibile, di divulgare le proprie opinioni in forma originale ed accattivante: così da evitare, per quanto possibile, di addentrarsi tra verbosi tecnicisimi e inani virtuosismi, ma di suscitare la massima curiosità nel lettore.
In quanto membro di un’Associazione dotata di siffatte caratteristiche, non posso esimermi dallo spendere qualche parola intorno ai fatti che nelle ultime settimane hanno profondamente sconvolto – direi quasi sconquassato dalle fondamenta – l’antico, ma fragile edificio della vita culturale italiana.
Mi riferisco alle recenti alluvioni che, insistendo per parecchi giorni nelle pianure del Ravennate, hanno devastato molti tesori del locale patrimonio librario: oltre a trascinare, ahimè, con i propri flutti lutulenti molte vite.

Tra biblioteche, musei, pinacoteche, archivi e depositi, moltissimi sono i tesori che hanno dovuto pagare un conto salato alla gravissima inclemenza del meteo: la sola Biblioteca del Seminario vescovile di Forlì ha visto la distruzione di più di 1000 stampe tra Cinquecentine e Seicentine, oltre a 27 incunaboli.

Fare cultura, come ben si sa, risulta spesso ardua ed ingrata impresa. Conservarla nel tempo lo è in misura ancor maggiore. Eppure, l’uomo ha sempre cercato, nel lungo diffondersi della sua storia, di raccogliere enormi biblioteche capaci di mantenere traccia.

Ogni biblioteca è segno inconfondibile di civiltà, quasi che non possa esistere civiltà alcuna senza biblioteca: ubi societas, ibi bybliotheca, verrebbe quasi da concludere. E, del resto, comprendiamo di essere di fronte ad una civiltà sviluppata, proprio allorchè qualche biblioteca questa ci abbia lasciato: cosicché il libro, quasi come la voce di un popolo a noi cronologicamente precedente, è ciò che ci consente di riconoscerlo e di capirlo.
Cosicché una società senza libro è, per noi oggi, una società muta, una società priva della parola: una società che si conosce attraverso le parole di altri.

Una società quasi incapace di intendere e di volere, che abbisogna di un tutore per poter raccontare la propria storia: tra i tanti, i Celti, i Germani, i Britanni, i Cartaginesi e molti popoli orientali, che conosciamo prevalentemente attraverso il prisma delle parole altrui.

Ogni biblioteca è, per un motivo o per l’altro, destinata a perire: lo testimonia la storia della Biblioteca di Alessandria, sorta per opera di Tolomeo Filadelfo con l’intento ambizioso e, forse, tracotante di ergersi a vero e proprio scrigno di tutta la cultura greca arcaica, classica ed ellenistica. Questa, infatti, fu notoriamente avvolta dalle fiamme – non è certo né quando, né da chi, né perché – con la conseguente, irreparabile distruzione del suo immenso patrimonio.

Eppure, non si può certo nascondere che ogni nuova biblioteca di Alessandria, seppure costruita con la speranza di custodire ogni manifestazione dell’ingegno umano e durare in eterno, è destinata alla distruzione. Come, del resto, destinata alla distruzione è in ultima analisi ogni opera dell’uomo.

La stampa, prima, e la digitalizzazione, poi, hanno certo contribuito ad assicurare la conservazione di questi tesori, ma da sole non possono certo renderli totalmente invulnerabili. E le vicende narrate lo dimostrano.

  • Ad avviso dello scrivente, queste constatazioni non dovrebbero indurre lo sconsolato lettore ad astenersi dall’attiva ricerca della cultura, disperando della perpetuità di essa: egli dovrebbe, semplicemente, rendersi consapevole del fatto che neppure la più ampia, ben costruita e resistente delle biblioteche è eterna.

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