IL MESTIERE DI STORICO
Articolo di ANDREA SOPPELSA.
“A che cosa serve la storia?”
È questo il quesito che funge da propulsore alla riflessione di Marc Bloch (1886-1944), storico ebreo alsaziano cofondatore della scuola degli Annales.
Questo interrogativo di Bloch è quanto di più lontano dai vuoti concettualismi anodini che spesso -effettivamente- caratterizzano molti cattedratici: basterebbe ripercorrere il travagliato lavoro che ha accompagnato la stesura dell’Apologia della storia, il testo che presenta quel quesito come incipit, per comprendere l’urgenza di una riflessione di tale portata sulla Storia, che, per l’autore, è inestricabilmente anche riflessione di senso sulla propria esistenza.
Quando Bloch, nei propri quaderni, inizia a mettere per iscritto l’organica riflessione sul proprio mestiere ha alle spalle una vita intensa e travagliata: ebreo, nasce pochi anni prima dello scandalo Dreyfuss, difende la Francia sul fronte della I Guerra Mondiale, diventa docente universitario di successo e fonda con il collega Lucien Febvre la rivista Annales, con cui rivoluziona il modo di fare e pensare la storia.
Ma è soprattutto il momento in cui scrive l’Apologia ad essere degno di menzione: a 53 anni, dopo l’invasione nazista della Polonia, accetta il richiamo alle armi da parte della sua nazione (sebbene fosse in condizione di rifiutare), vive in prima persona la drôle de guerre, che commenta nell’opera La strana disfatta, infine, nel periodo di Vichy, entra nella Resistenza, esperendo una militanza tarda (già a metà anni ’30, percependo la crescente ostilità nei confronti degli ebrei anche in Francia, si interrogava sull’opportunità di agire) che gli sarà fatale dopo la cattura da parte dei tedeschi.
È proprio in quest’ultimo segmento della sua vita che Bloch inizia a redigere un testo che rappresenta la summa delle proprie convinzioni, del proprio modo di intendere il mestiere di storico; l’Apologia della storia è un testo postumo e non finito. Solo nel 1949 l’amico e collega Lucien Febvre organizzerà i documenti superstiti per la pubblicazione. Ma la sua inconcludenza non ne rappresenta un limite; al contrario, l’Apologia affascina perché redatta proprio nel bel mezzo di quel fiume in piena che è la Storia, da un autore che si trovava intento a guadare quel fiume in cui, consapevolmente, aveva deciso di mettersi al centro. Inoltre, la domanda a cui il testo vuol dare risposta, “a che cosa serve la storia”, è destinata a rimanere priva di una univoca e immutabile definizione, vista la soggettività con la quale viene esperita la materia in questione, che tende a risignificarsi incessantemente nel corso del tempo.
Dunque, qual’è l’utilità della storia riscontrata da Marc Bloch?
Innanzitutto, per Bloch è necessario definire correttamente questa disciplina; si scopre, allora, che per lui la storia è memoria e la memoria è un tratto distintivo la nostra civilizzazione occidentale, compresa la religione cattolica: la Bibbia è un libro di storie, che pone un inizio dei tempi e una fine, quindi un percorso lineare scandito da eventi. Anche indipendentemente da ogni possibilità di applicazione alla condotta pratica, la storia avrà perciò il diritto di rivendicare il suo posto fra le conoscenze veramente degne di impegno nella misura in cui essa ci consentirà, invece di una semplice enumerazione, senza nessi e senza limiti, una classificazione razionale e una progressiva intelligibilità. Attenzione, però, ammonisce l’autore francese, perché il problema della utilità della storia, in senso pragmatico, non si deve confondere con quello della sua legittimità, propriamente intellettuale: pertanto, la storia non può essere solamente “scienza del passato”; l’oggetto della storia è, per natura, l’uomo. O, meglio, gli uomini.
Più che il singolare, favorevole alla astrazione, il plurale, che è il modo grammaticale della relatività, conviene a una scienza del diverso: “Il bravo storico assomiglia all’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda” dice Bloch. L’atmosfera in cui naturalmente il pensiero storico respira è la categoria della durata; perciò, la storia sarà “scienza degli uomini, nel tempo” o, meglio, lo studio delle interazioni degli uomini tra di loro nel corso del tempo.
Il tempo reale è un continuum, ma, anche, continuo mutamento, incessante divenire. Il presente è ossessionato dalle origini, soprattutto nella pericolosa tendenza a ricercare un inizio che è (erroneamente) sufficiente a spiegare: il suo peggior limite risiede nel fatto che esso porta con sé spesso la mania del giudizio. Ma, mai un fenomeno storico si spiega pienamente al di fuori dello studio del momento in cui avvenne. Ciò è vero di tutte le tappe della evoluzione.
Agli antipodi dei cercatori di origini, si collocano coloro che studiano solo l’immediato, condannati, però (o, per questo?), a una eterna trasfigurazione, poiché una pretesa scienza del presente si trasformerebbe, in ogni momento del suo essere, in scienza del passato.
Nondimeno, nel vasto flusso del tempo, si ritiene di poter circoscrivere una fase di estensione ridotta. Relativamente poco lontano da noi, nel suo punto di partenza, essa comprende, al suo arrivo, persino i giorni che viviamo. Al contrario, altri ritengono che i fatti a noi vicini siano, proprio per questo, refrattari a ogni studio veramente sereno. Secondo Bloch, la distinzione tra presente e passato è un fatto relativamente recente, presumibilmente dovuto all’allargato intervallo psicologico tra generazioni prodotto dalle rivoluzioni delle tecniche. Tuttavia, è riduttivo: ci si rappresenta il corso della evoluzione umana come costituita da una serie di brevi e potenti scosse, ciascuna delle quali non durerebbe che lo spazio di alcune esistenze. L’osservazione prova, invece, che in questo immenso continuum le grandi vibrazioni sono perfettamente in grado di propagarsi dalle molecole più lontane a quelle più vicine.
Anche l’uomo, nel corso del tempo, è assai mutato nello spirito, nella alimentazione, nell’igiene e nella atmosfera mentale. Eppure, nella natura umana e nelle umane società esiste e sussiste un fondo permanente che conferisce loro riconoscibilità. Molte virtualità, a prima vista poco osservabili, ma che possono risvegliarsi in qualsiasi momento, molte motivazioni più o meno inconsce degli atteggiamenti individuali e collettivi, rimarranno nell’ombra. Senza contare che, a procedere dall’indietro in avanti in modo meccanico, si corre sempre il rischio di perdere il proprio tempo nel dare la caccia agli inizi o alle cause di fenomeni che, all’esperienza, si riveleranno forse immaginari.
Lo studioso deve eclissarsi dinanzi ai fatti? Bloch si pone il problema della imparzialità storica, della storia come tentativo di riproduzione o come tentativo di analisi e lo risolve affermando che, quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito è concluso. Per molto tempo, lo storico è stato ritenuto una sorta di giudice; si dimentica che una sorta di giudizio di valore non ha ragion d’essere se non come preparazione a una azione e non ha senso se non in rapporto a un sistema, volontariamente accettato, di punti di riferimento morali. Nella vita quotidiana, le esigenze del comportamento ci impongono questo appiccicare delle etichette, di solito molto sommario. Sebbene il buon storico non sia (e non possa essere) completamento scevro da passioni, il suo scopo è comprendere, ci ricorda il fondatore degli Annales.
Si tratta di un atteggiamento attivo, che abbisogna sia di una realtà, sia di un uomo.
La realtà umana è vasta e variegata; pertanto, compito dello storico è scegliere e distinguere, analizzare. Non per questo, i fenomeni umani si condizionano anzitutto attraverso concatenazioni di fenomeni simili. Classificarli per generi, quindi, equivale a mettere in luce una linea di forza di una efficacia decisiva.
La scienza scompone il reale allo scopo di comprendere meglio; nondimeno, il problema si verifica nei momenti in cui ciascuna branca della scienza pretende di agire da sola.
Ma le difficoltà della storia sono ancora di un altro tipo. Perché, come oggetto, in ultima analisi, essa ha precisamente delle coscienze umane. Le relazioni che si stabiliscono attraverso di queste, le contaminazioni, le confusioni persino, di cui esse sono il terreno, costituiscono ai suoi occhi la realtà stessa.
L’unico essere di carne e ossa è l’uomo, l’uomo senza aggettivi, che ricongiunge in sé tutto questo. Certo le coscienze hanno i loro compartimenti interni, che alcuni di noi sanno erigere con particolare abilità, asserisce Bloch.
Ci sono delle contraddizioni che assomigliano molto a delle evasioni. La società non potrebbe dopo tutto essere altro che, non diciamo una somma (senza dubbio, sarebbe dire troppo poco), ma almeno un prodotto di coscienze individuali, non ci si stupirà di ritrovarvi lo stesso gioco di incessanti interazioni.
La coscienza dei frammenti, studiati successivamente, ciascuno per suo conto, non produrrà mai quella dell’insieme; non produrrà nemmeno quella dei frammenti stessi. Il lavoro della ricomposizione non è esso stesso se non il prolungamento dell’analisi, oltre che la sua ragion d’essere.
Lo storico non esce mai dal tempo, ma, per una necessaria oscillazione, che già il dibattito sulle origini ha evidenziato, egli vi considera sia le grandi ondate di fenomeni imparentati che attraversano da una parte all’altra la durata, sia il momento umano in cui quelle correnti si rinserrano nel possente nodo delle coscienze.
Scrive lo storico italiano Sergio Fontegher Bologna che, dopo il XX secolo, e, in particolar modo dopo i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci, Sul concetto di storia di Walter Benjamin e l’Apologia della storia di Bloch lo storico è animato da passione civile o non è, poiché la storia non è solo archivio (lo dimostrano i tre storici sopracitati, uccisi dal nazifascismo), è filologia vivente, prassi istituente.
Pertanto, lo storico, lungi dall’essere preoccupato dal problema dell’obiettività, sviluppa un punto di vista politico sul presente, lo problematizza e, con il suo lavoro, intende contribuire ad organizzare la trasformazione del presente.