LE STORIE DI IERI
Scritto da Andrea Soppelsa.
LE STORIE DI IERI
Mio padre ha una storia comune
Condivisa dalla sua generazione
La mascella al cortile parlava
Troppi morti lo hanno smentito
Tutta gente che aveva capito
Correva l’anno 1975 quando un giovane cantautore del Folkstudio, Francesco De Gregori, proponeva alla RCA il brano “Le storie di ieri”. A causa degli espliciti riferimenti a Mussolini -che avrebbero impedito la diffusione radiofonica-, i discografici lo rifiutarono e De Gregori si vide così costretto a passare la canzone all’amico e mentore Fabrizio de André che la inserì nel disco “Volume 8”. Al che, grazie alla notorietà di De André, anche de Gregori poté incidere e pubblicare Le storie di ieri nell’album Rimmel. Le versioni di De Gregori e De André presentano alcune minime varianti, dovute a delle rettifiche apportate dal cantautore romano poco prima della registrazione. Per esempio, in Rimmel c’è “I nuovi capi hanno facce serene” anziché “Il gran capo ha la faccia serena”. Nella versione iniziale, che De Gregori aveva provinato per il disco precedente, il verso era direttamente “Almirante ha la faccia serena”. A tal proposito, quando, nel 1980, l’MSI userà Viva l’Italia per un suo spot televisivo, De Gregori farà causa ottenendone la cancellazione.
E il bambino nel cortile sta giocando
Tira sassi nel cielo e nel mare
Ogni volta che colpisce una stella
Chiude gli occhi e comincia a sognare
Chiude gli occhi e comincia a volare
Anche se poco noto, il brano in questione è una vivida rappresentazione del rapporto intergenerazionale nell’Italia dei primi anni ’70: ci sono un padre e un figlio, che fa da voce narrante. Il padre ha una storia comune ai suoi coetanei: è nato e cresciuto durante il Ventennio e, sebbene le troppe morti stiano ad evidenziare quanto sbagliata fosse quell’idea, non è riuscito a liberarsi dagli schemi mentali e dalle costrizioni di coscienza a cui è stato educato in gioventù. Dall’altra parte c’è un bambino che gioca nel cortile e “chiude gli occhi e comincia a sognare”, comincia a volare, va al di là delle idee del padre.
E i cavalli a Salò sono morti di noia
A giocare col nero perdi sempre
Mussolini ha scritto anche poesie
I poeti che brutte creature
Ogni volta che parlano è una truffa
Mentre il vecchio fascismo è screditato e finito, metaforicamente rappresentato dai cavalli di Salò e dal Mussolini/poeta truffaldino, ha però preso subdola forma un nuovo tipo di fascismo, quello che si presenta sui banchi del parlamento con “facce serene e cravatte intonate alla camicia”. De Gregori si riferisce chiaramente ai tipi del Movimento Sociale Italiano, il partito in cui erano confluiti e si erano dati una nuova presentabilità vecchi e nostalgici fascisti, in primis Giorgio Almirante, già redattore de “La difesa della razza”, e che nel 1972 aveva raggiunto il proprio massimo storico alle elezioni politiche.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
La mattina legge molti giornali
È convinto di avere delle idee
E suo figlio è una nave pirata
E suo figlio è una nave pirata
Anche il padre si sente rassicurato circa la legittimità della vecchia idea dal doppiopetto dei nuovi capi e non capisce il figlio che, per lui, “è una nave pirata”. Il poetico finale vede il bambino abbandonare gli aquiloni, sedersi tra i ricordi vicini (la scritta nera inneggiante l’MSI sul muro davanti casa sua) e i rumori lontani (il vecchio fascismo vagheggiato dal padre), “guarda il muro e si guarda le mani”: è diventato un uomo, è diventato consapevole, comprende la necessità di impegnarsi per contrastare revival neofascisti che mettano in discussione lo stato nato e basato su principi democratici e antifascisti.
E anche adesso è rimasta una scritta nera
Sopra il muro davanti casa mia
Dice che il movimento vincerà
I nuovi capi hanno facce serene
E cravatte intonate alla camicia
Ma il bambino nel cortile si è fermato
Si è stancato di seguire aquiloni
Si è seduto tra i ricordi vicini, rumori lontani
Guarda il muro e si guarda le mani
Guarda il muro e si guarda le mani
Guarda il muro e si guarda le mani
“Le storie di ieri” pone in essere alcuni quesiti:
1) Sull’opportunità, sulla moralità di accettare (o cooptare) nell’arco costituzionale un partito di ex-fascisti, pur ripuliti nell’aspetto e imborghesiti nella forma. È il gioco democratico a imporlo: nella democrazia tutti devono o possono avere rappresentanza, ma può darsi rappresentanza per l’idea di coloro che hanno perpetrato i peggiori crimini contro l’umanità?
2) De Gregori scrive un brano in cui smaschera il nuovo fascismo: non dobbiamo pensare, sottintende il cantautore, che esso si ripresenti con le stesse modalità di quello vecchio. Per imporsi nuovamente non sarà necessaria una marcia su Roma, sarà sufficiente un buon vestito, facce serene e slogan rassicuranti. Una buona propaganda, che agita lo spettro del diverso come nemico, che frequenta il “disordine sia nei termini difensivi del pericolo interno ed esterno dal quale guardarsi, sia in quelli offensivi di una aperta pratica dell’instabilità”(Bobbio), assieme a una soluzione semplice a problemi complessi faranno il resto. Del resto, “in tutti i tempi gli uomini hanno attribuito i loro mali, purtroppo più che reali, a cause immaginarie”(Pareto). Ma, come dice il Principe, “A giocare col nero perdi sempre”
Le Storie di Ieri è uno dei brani più apertamente politici di Francesco De Gregori, ma non è una canzone autobiografica: il padre di De Gregori, infatti, si dispiacque di essere erroneamente chiamato in causa. Molti anni dopo, nel disco Amore nel pomeriggio (2001), il Principe ritornerà a parlare di fascismo e della repubblichina con Il cuoco di Salò: in quel caso, il protagonista e io narrante sarà un cuoco d’albergo, un uomo qualunque che sta semplicemente svolgendo il proprio lavoro in un contesto eccezionale-la bufera della guerra che determina la crepuscolare fine di un regime fantoccio- e, che, probabilmente è conscio di trovarsi dalla “parte sbagliata”.