Uno scritto dell’onorevole Giovanni Crema.
Pubblico questo Numero di giugno 1924 del quotidiano “La Giustizia” che dava la notizia del massacro fascista di Matteotti. E sono fiero che 100 anni dopo lo riporterà, fra qualche mese, il nostro giornale on line che abbiamo voluto far rinascere con lo stesso nome “La Giustizia” del quotidiano dei Socialisti Riformisti di allora come oggi.
L’esigenza di una profonda riforma costituzionale ha caratterizzato anche l’avvio della attuale legislatura. D’altra parte questa è ormai l’ennesima legislatura, dal 1983, che si è inaugurata all’insegna dell’esigenza di riformare la Costituzione Repubblicana e che è stata per questo chiamata “costituente”: nel senso di una revisione della parte ordinamentale della Carta Costituzionale della quale da tempo si sente l’esigenza.
I precedenti tentativi sono infatti falliti: basta evocare la vicenda della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali istituita appunto nel 1983, la quale esaurì i suoi lavori nel gennaio 1985 senza che i pur non trascurabili risultati conseguiti sotto il profilo tecnico venissero poi tradotti in qualcosa di concreto. E’ anzi ragionevole presumere che, se le forze politiche dell’epoca fossero state all’altezza dei loro compiti e avessero proceduto a un aggiornamento dell’ordinamento costituzionale secondo le linee allora tracciate, la crisi politico-istituzionale italiana degli anni novanta avrebbe potuto essere evitata oppure avrebbe assunto caratteri e modalità diversi.
Invece, l’incapacità del sistema partitico di concorrere a una riforma delle istituzioni all’ordine del giorno almeno dalla fine degli anni settanta deve considerarsi fra le cause principali di quella crisi.
Anche nella XI legislatura il secondo tentativo di affidare a una Commissione parlamentare la predisposizione di un’organica riforma della parte seconda della Costituzione si tradusse in un nulla di fatto. Anche in quella circostanza l’esito dei lavori dell’organismo bicamerale, ancorché criticabile e insoddisfacente per singoli aspetti, non fu tecnicamente trascurabile: ma una volta ancora le circostanze politiche complessive impedirono che quel lavoro portasse a risultati concreti prima dello scioglimento delle Camere nel gennaio 1994.
Successivamente si ebbe la prima legislatura originata sulla base della nuova legislazione elettorale a prevalenza maggioritaria del 1993. Essa segnò il tramonto del sistema dei partiti che aveva accompagnato l’Italia della Liberazione fino al 1992 e l’avvio di un’esperienza rimasta inevitabilmente incompleta proprio perché alla modificazione radicale della legislazione elettorale non aveva fatto seguito il necessario corollario di riforme ordinamentali.
Così anche la XII legislatura, che ebbe anch’essa vita breve a causa del mancato consolidamento delle forze politiche e dei difficili rapporti fra esse, non fu in grado di completare il processo di riforma avviato, lasciando il Paese nel mezzo di una transizione incompiuta: tale essa resta anche dopo le elezioni del 21 aprile 1996, che pure hanno condotto a un’ulteriore evoluzione. Infatti nel 1996 il sistema politico-istituzionale ha confermato di essere sempre più orientato a funzionare secondo le regole delle democrazie “immediate”, nelle quali è il voto popolare a determinare al di là degli aspetti formali, l’investitura degli esecutivi. Nondimeno resta sotto gli occhi di tutti che anche sotto questo aspetto si tratta di un’evoluzione nient’affatto certa e consolidata. Si tratta dunque di porre mano con grande energia, con coraggio e determinazione a quel compito di complessiva razionalizzazione del sistema costituzionale del quale si sente ogni giorno la necessità (basti pensare alla vicenda della decretazione d’urgenza e a quella degli stessi referendum abrogativi). Assolvere a tale compito rappresenta ogni giorno di più preciso obbligo delle forze politiche nei confronti del Paese intero.
L’istituzione di una ulteriore Commissione parlamentare per le riforme istituzionali non si giustifica proprio con la volontà di rispondere a tale aspettativa nei tempi e nei modi senza trascurare ma anzi sottolineano il necessario concorso del corpo elettorale che, alla fine del processo parlamentare, sarebbe chiamato per l’ennesima volta, per legge costituzionale ad esprimersi, in ogni caso, quale che sia la maggioranza che si raccoglierebbe intorno ad essa in Parlamento, sul complesso della riforma.
Chi ripercorre con spirito aperto la vicenda istituzionale dalla Costituente in poi, infatti, non può non registrare una serie di caratteri peculiari dell’ordinamento delineato dalla Carta del 1948, nel quale la figura presidenziale non emerge affatto come una figura meramente cerimoniale e priva di poteri; anzi il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto costituire il necessario contrappeso e il fattore di stabilizzazione e di riequilibrio del sistema partitico che si era già delineato negli anni successivi alla Liberazione.
Resta in ogni caso la necessità di dare risposta adeguata al problema della stabilità, della forza e della responsabilità del potere democratico nel nostro ordinamento, soluzioni che non possono non partire dalla consapevolezza che in Europa le esperienze autoritarie o addirittura totalitarie, nel’ secolo scorso, sono state la conseguenza non già della forza, ma della debolezza dei governi democratici.
D’altra parte, una nuova forma di governo non può a sua volta bastare, ove la si intenda in senso stretto: si tratta, infatti, di introdurre in Costituzione, quale che sia la forma di governo prescelta, una serie di istituti volti a rendere più efficiente e responsabile l’esecutivo, a rafforzare il ruolo costituzionale dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri (non più semplice primus inter pares), a rafforzare i poteri di controllo del Parlamento (ovvero dell’opposizione in Parlamento); si tratta di operare nel senso di una poderosa delegificazione, di adottare procedure di bilancio all’altezza delle nuove esigenze di gestione della finanza pubblica, di rivedere nel quadro di un nuovo rapporto Stato-regioni in uno Stato unitario e federale, l’assetto del bicameralismo.
Sono sempre più convinto che si dovrà ricorrere alla strada maestra di una Assemblea costituente, perché l’Assemblea costituente eletta col sistema proporzionale in un numero contenuto di componenti, con tempi definiti per i processi di modifica ed eletta appunto col sistema proporzionale è l’unica garanzia .
Può fare tutto ciò un parlamento eletto col sistema maggioritario e con il premio di maggioranza?
Questo è in assoluta collusione con la volontà dei padri costituenti che hanno previsto, sì, le modalità di correzione della costituzione da parte del parlamento, ma da un parlamento eletto con il sistema proporzionale.