La vicenda Lucchini: un peculiarissimo caso di contrasto tra la res iudicata nazionale ed il Diritto dell’Unione Europea.
Di FRANCESCO SCARANGELLA.
Sugli aiuti di Stato: nozione e procedimento
Si definiscono aiuti di Stato le sovvenzioni – in danaro od altra utilità finanziaria – che uno Stato Membro dell’Unione Europea provveda a somministrare ad una propria impresa, quando questa non riesca suo Mercurio ad esercitare adeguatamente le proprie attività economiche, con il fine di sostenerne le operazioni.
È di immediata intelligenza come – fornendo ad un singolo operatore economico un sensibile vantaggio finanziario sugli altri – ciascun aiuto di Stato possa squarciare il tessuto concorrenziale del mercato: difatti, se si vorrà considerare il mercato perfettamente concorrenziale quale sede ideale per la massimizzazione dell’efficienza produttiva e per il raggiungimento di un prezzo di equilibrio fondato sul solo rapporto tra domanda e offerta, si potrà osservare come qualsiasi alterazione delle fisiologiche dialettiche della concorrenza non possa condurre che ad un impoverimento generale in nome del vantaggio particolare del beneficiario del finanziamento.
Poiché, dunque, solo una concorrenza perfetta può garantire la formazione di un sistema economico comune, uno dei primi obiettivi del Legislatore europeo fu quello di combattere il ricorso a queste forme di assistenza, in considerazione proprio della loro avvertita capacità di incidere negativamente sul mercato attraverso l’assegnazione ad alcuni operatori economici di iniqui vantaggi concorrenziali: fermo restando, tuttavia, che l’economista politico altri non è, che un platonico Demiurgo, concretamente impossibilitato a concretizzare appieno il modello ideale della concorrenzialità perfetta, la quale conseguentemente non potrà mai essere raggiunta appieno.
Attualmente il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) non vieta in assoluto il ricorso da parte degli Stati Membri all’odiosa prassi dell’aiuto di Stato, ma lo sottopone ad un rigido regime autorizzatorio riservato alla valutazione da parte della Commissione Europea.
Ai sensi dell’art. 107 TFUE co. 1, alcune sovvenzioni sono eccezionalmente considerate sempre e comunque legittime, essendo oggetto di una presunzione iuris et de iure di compatibilità con i principi del Mercato interno (è il caso degli istituti di solidarietà sociale introdotti a beneficio di singoli cittadini; degli aiuti facenti seguito a calamità naturale ed altri eventi eccezionali; ai fondi concessi per lo sviluppo economico dei Länder della Repubblica federale di Germania già appartenuti alla Repubblica democratica di Germania).
Ai sensi del co. 2 del prefato articolo, esistono poi alcune ulteriori categorie di aiuti, che potranno essere compatibili con il mercato interno solo allorquando tali siano state valutate dalla Commissione, con il procedimento di cui all’articolo 108 (in presenza di situazioni emergenziali o croniche di inopia economica caratterizzante alcuni territori soltanto degli Stati membri, come sancito dai commi a), b) e c) o per l’ipotesi di aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del territorio di cui alla lettera d), con possibilità da parte del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea di determinare ulteriori ipotesi di compatibilità).
L’art. 108 TFUE disciplina nel dettaglio il procedimento di intervento autorizzatorio della Commissione europea che (per i soli aiuti di cui al co. 2 dell’articolo precedente) si svolge con modalità quasi giurisdizionali finalizzate ad assicurare garanzie di obiettività ed imparzialità della decisione finalmente assunta.
Di particolare interesse sono i co. 2 e 3, che individuano analiticamente l’iter procedimentale che la Commissione dovrà seguitare nell’esercizio del proprio ufficio. Ricevute, infatti, dagli Stati Membri delle tempestive comunicazioni intorno ai “progetti diretti a istituire o modificare aiuti” e provveduto a valutarne qualità e caratteristiche, la Commissione può negare la compatibilità delle operazioni di assistenza con il mercato interno, imponendone conseguentemente la cessazione o la riforma.
Nelle more del procedimento davanti alla Commissione – che si svolge con modalità quasi giurisdizionali contraddistinte da un elevato grado di garanzia per le parti private – è interdetta allo Stato Membro l’attuazione delle misure: tantopiù, non potranno trovare attuazione le misure di cui la Commissione abbia già rappresentato l’incompatibilità con gli standard del mercato interno.
Il caso Lucchini
Nel caso oggetto della nostra analisi, la Lucchini Siderurgica S.p.a. aveva richiesto al Ministero dell’industria, del commercio dell’artigianato di essere autorizzata alla ricezione dei finanziamenti di cui alla L. 02.05.1976, n. 183, recante disposizioni sull’Intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80, in vista dell’ammodernamento di alcuni suoi impianti produttivi.
Avendo la Commissione Europea concluso nel senso della incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno europeo e diffidato contestualmente le Autorità nazionali alla concessione della misura, la società si rivolgeva all’AGO, riuscendone vittoriosa: condannato in seconde cure dalla Corte d’Appello di Roma, il MICA risultava soccombente ed ometteva di impugnare la sentenza, determinandone così il passaggio in giudicato e provvedendo seguentemente alla soluzione.
Nel caso di specie, la Commissione Europea imponeva, dunque, la disapplicazione di un giudicato nazionale cui il giudice era pervenuto senza attendere il pronunciamento dalla Commissione stessa in una materia di propria esclusiva competenza (poi peraltro rivelatosi avverso).
Seppure informata della res iudicata contraria alla propria decisione, la Commissione Europea intimava egualmente al MICA la revoca degli aiuti ed il recupero delle somme versate, disapplicando la norma di cui all’art. 2909 c.c.: la Commissione imponeva, dunque, la disapplicazione di un giudicato nazionale cui il giudice era pervenuto usurpando la competenza esclusiva della Commissione.
Facendo seguito alle richieste della Commissione, il MICA provvedeva alla revoca delle misure costituenti aiuto di stato illegittimo con decreto, tempestivamente impugnato dalla Lucchini Spa di fronte al giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato, investito della causa, rinviava interpretativamente alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione di cui trattavasi, interrogandola in particolare sulla doverosità per il giudice nazionale di disapplicare toto caelo la res iudicata interna, dalla quale erano confortate le ragioni della S.p.a. amministrata, in ragione del principio del primato del diritto dell’Unione Europea, con il fine di procedere al recupero delle somme indebitamente versate dalla P.A.; ovvero se il passaggio in giudicato della sentenza pronunziata inter partes – produttivo degli effetti di cui all’articolo 2909 c.c. – non vincolasse il giudice adito dalla Società ricorrente ad impedire il recupero delle somme già fatte oggetto di giudicato sostanziale.
Giudicato nazionale e principio di supremazia del diritto europeo: in generale e nel caso Lucchini
Memore della rilevanza sistematica della res iudicata tanto nei diritti interni, quanto nell’ordinamento europeo, la Corte di Giustizia ha sempre riconosciuto nella propria giurisprudenza l’irretrattabilità ed inoppugnabilità delle statuizioni giudiziali passate in giudicato, anche a fronte di violazioni del diritto dell’Unione Europea potenzialmente suscettibili di ledere il principio di supremazia dell’ordinamento comunitario sui diritti nazionali: a queste conclusioni era pervenuto il Collegio, exemplum ut afferam, con il noto caso Köbler, relativo ad una reiterata, pertinace ed inveterata giurisprudenza austriaca contrastante con la libertà fondamentale di circolazione delle persone nell’Unione Europea di cui all’art. 21 TFUE e con il diritto derivato direttamente applicabile.
Solo in casi eccezionalissimi – nei quali la violazione del diritto europeo importi una contravvenzione ai principi di effettività ed equivalenza della tutela giurisdizionale nazionale – si dà adito alla disapplicazione della res iudicata interna: poiché questa elude irreparabilmente le condizioni alle quali si possa riconoscere agli Stati l’autonomia processuale nell’esercizio indiretto della giurisdizione europea (in proposito, si vedano – tra le altre – le sent. Olimpiclub ed Asturcom).
Nel caso di specie la sentenza pronunciata dall’AGO nazionale – ancorché non integrante alcuna delle prefate ipotesi – e la cosa giudicata sostanziale onde scaturente si sarebbero dovute ritenere ancor più gravemente infirmate, ad avviso della Corte di Giustizia europea: il Giudice nazionale italiano si era, infatti, pronunciato in una materia riservata all’intervento quasi giurisdizionale della Commissione Europea ed alla cognizione della Corte di Giustizia stessa. Tant’è che a dire del Collegio lussemburghese la sentenza pronunciata in Italia – seppure munita di giudicato formale – non avrebbe potuto esplicare gli effetti della res iudicata per causa della propria radicale inidoneità ad esprimere un qualsiasi contenuto precettivo esplicando efficacia vincolante: e tale radicale inidoneità si sarebbe radicata nella competenza esclusiva della Commissione, con esclusione di qualunque atto nazionale perfezionato per moras.
Così si esprimeva, infatti, il giudice di Lussemburgo:
“I giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune. Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario”. Da ciò la Corte lussemburghese inferiva che “né il Tribunale civile e penale di Roma né la Corte d’appello di Roma erano competenti a pronunciarsi sulla compatibilità degli aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini con il mercato comune e che né l’uno né l’altro di questi organi giurisdizionali avrebbe potuto constatare l’invalidità della decisione […] che aveva dichiarato tali aiuti incompatibili con il detto mercato”,
arrivando a concludere che
“Il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art, 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata”
allorché il giudice nazionale si sia pronunciato contrariamente a diritto europeo con violazione delle Competenze della Commissione.
Conclusioni
Il Giudice di Lussemburgo è giunto ad asserire che la sentenza facente cosa giudicata sostanziale pronunciata dall’autorità giurisdizionale nazionale prima dell’intervento della Commissione andasse inevitabilmente disapplicata.
Come interpretare, dunque , una tanto draconiana presa di posizione da parte della Corte di Giustizia della (allora) Comunità Europea?
L’articolo 2909 c.c. – che nell’ordinamento italiano assurge ad ipotiposi normativa del principio della cosa giudicata sostanziale – acquista un imprescindibile valore sistematico, ergendosi a garanzia della certezza del diritto e della stabilità dei traffici giuridici; ad impenetrabile usbergo delle statuizioni giudiziali di cui alla sentenza; a sostanza teleologica e fine ultimo del processo, poiché un procedimento giudiziario destinato a non far luce in modo definitivo ed irretrattabile sul petitum sarebbe per le parti inutile, oltre che indesiderabile.
Sotto l’Egida della res iudicata nella sua accezione sostanziale trovano, infatti, riparo l’effetto positivo/conformativo e quello negativo/impeditivo del giudicato, che sono proprietà fondamentali ed intrinseche del dictum di merito del giudice una volta divenuto inoppugnabile in quanto pronunziato in ultima istanza o non fatto oggetto delle impugnazioni ordinarie.
E siffatti effetti positivo/conformativo e negativo/impeditivo, che sono conseguenza dell’instaurarsi di un giudicato nel merito tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa, trovano radicamento nella necessità di stabilità dei traffici economici e di certezza del diritto.
Non che l’ordinamento interno non conosca casistiche nelle quali si renda, talora, necessario superare un giudicato precedentemente reso: ciò è, anzi, quanto non infrequentemente si verifica ove la sentenza sia oggetto di impugnazioni straordinarie.
Tuttavia, la peculiarità di questa pronuncia europea è rappresentata dal fatto che l’efficacia di cosa giudicata sostanziale di una sentenza definitivamente pronunciata sull’integrità della domanda in seconde cure dal giudice civile e successivamente passata in giudicato per effetto del mancato ricorso per Cassazione sia negata ab ovo in ragione del radicale ed insanabile difetto di competenza contestato al Giudice italiano. Il che equivale ad ammettere che talune pronunce – pur a fronte della loro piena idoneità ad esprimere autorità formale e sostanziale di cosa giudicata nell’ordinamento interno – ne potrebbero risultare prive ab origine nelle materie riservate alla cognizione quasi-giurisdizionale della Commissione europea (le quali sono, per l’appunto, sparute in numero, essendo essenzialmente esaurite dalle decisioni in materia di aiuti di stato e concorrenza).
Non è, invece, possibile parlare di sistematica disapplicazione della cosa giudicata sostanziale nazionale per una qualsiasi violazione non qualificata del diritto dell’Unione Europea: a fronte della quale è, invece, previsto il solo diritto del privato danneggiato dalla falsa o mancata applicazione del diritto dell’Unione Europea ad ottenere un risarcimento dallo Stato di appartenenza del giudice che aveva violato il diritto europeo, purché la violazione dell’ordinamento eurounionale risulti grave e manifesta. A ciò si potrebbe eventualmente associare la responsabilità patrimoniale personale del magistrato giudicante, come affermato per via pretoria dalla giurisprudenza europea nel noto caso Traghetti del Mediterraneo.
Sicché, in tali ipotesi, il giudicato interno continuerà, invece, a permanere esplicando i propri piani effetti, ancorché contrario al diritto dell’Unione Europea, in nome della rilevanza dell’autorità di cosa giudicata. della sentenza di merito, quale chiusa sistematica dell’ordinamento processuale interno ed europeo.