Ricordi di un entomologo

Scritto da ANNA CARAMAGNO.

In Provenza era conosciuto anche come “Le Felibre du Tavan” (il poeta dei maggiolini) perchè Jean Henry Fabre, oltrechè essere il padre dell’entomologia moderna, acuto osservatore naturalista, psicologo e filosofo degli insetti, studioso -quasi -autodidatta, componeva anche meravigliose liriche in lingua provenzale. Nel suo Diario ci avvolge- come un ragno con la sua tela- con i suoi ricordi, le sue osservazioni precise, le intuizioni sorprendenti, con i suoi esperimenti arditi, le caute deduzioni, le innumerevoli domande, che abbiano o no risposta, dubbi, e soprattutto con i suoi gioiosi entusiasmi per il mondo degli insetti. Un piccolo mondo, passione della sua vita, che sorprende lui non meno di me, dove accadono magie, dove con l’ausilio di lenti d’ingrandimento si possono finalmente scoprire i talenti, la bellezza, la complessità, le abilità e talvolta anche le ottusità di queste piccole creature. Sfogliando le pagine, visualizzando i suoi racconti, le sue vivide e precise descrizioni, corredate di suoi disegni e di foto del figlio Paul , mi pare di vederlo, con l’immancabile cappello nero di feltro, la giacchetta e i pantaloni di coutil, aggirarsi per le campagne provenzali, su scarpate argillose, fra campi, altipiani sabbiosi, boschi, pianure alla ricerca di bruchi, imenotteri, aracneidi, ortotteri, ditteri. Lo vedo sdraiarsi sui prati vicino ad uno sciame, arrampicarsi sul monte Ventoux con taccuino e matita per prendere appunti sul posto, attendere per ore ed ore con pazienza certosina, alla mercè della stagione e del clima. Persona mite ed estremamente moderna per i suoi tempi, scrive questo saggio per il figlio Jules (che morirà precocemente a 16 anni) ed è proprio ai giovani che pensa, a loro si rivolge, a piccoli naturalisti in erba, teneri amanti di ogni forma di vita. Ci descrive luoghi e piante, animali del bosco ed uccelli, con una delicatezza ed un amore che traspare in controluce. La scienza per lui è essenzialmente ricerca viva ed osservazione.

Contesta i metodi degli ambienti accademici che studiano più la morte che la vita, contrario a torture da laboratorio, rifiuta di accettare pedissequamente le conclusioni dei maestri del passato, allievo appassionato ma ribelle, accetta ed ammette serenamente la sua ignoranza, e più che catalogare e classificare gli insetti, li raccoglie, analizza i loro comportamenti, li sottopone ad innumerevoli test, li mette alla prova, li alleva a casa sua, ci convive come fossero di famiglia e la sua stessa famiglia è resa partecipe, lo aiuta e supporta. Ci rivela così le raffinatezze alimentari delle larve, le abilità di minatori ed architetti, le tecniche raffinate di caccia, interventi chirurgici che rivelano quasi conoscenze fisiologiche ed anatomiche della propria preda, gli scontri e le lotte, l’accudimento e il parassitismo, i legami stretti fra divoratori e divorati, la memoria topografica, le sequenze ostinate di azioni meccaniche che seguono un istinto, un impulso inspiegabile. Chino sui suoi barattoli dove rinchiude vespe e tarantole, per 40 anni osserva i comportamenti, le reazioni , le abitudini, come vive un insetto, come è fatto.

Jean Henry si emoziona fino alle lacrime quando segue le imprese dello scarabeo stercorario, accetta di buon grado le punture multiple, non si abbatte davanti ad errori e sconfitte perchè tutto ciò che scopre per lui sono veri tesori, sottoterra, fra i sassi di un muretto, sotto una tegola o sopra un filo d’erba. Insegna in un liceo, guadagna poco e capita che lo stipendio di un mese lo usi per comprare un manuale sugli insetti. La sua ultima casa, l’Harmas de Serignan, ora diventata museo, isolata ed immersa in una campagna lussureggiante, verrà trasformata in un laboratorio sempre attivo. Attivo fino all’ultimo dei suoi giorni, quando si spegnerà a 92 anni, vissuti caparbiamente fra le gioie, la necessità ed il tormento di conoscere.

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