Sul bilanciamento costituzionale dei diritti

*di FRANCESCO SCARANGELLA

Il bilanciamento nel diritto costituzionale.

Il compito della Corte costituzionale è quello di verificare la conformità della Legge o degli altri atti aventi forza di Legge rispetto alla Costituzione repubblicana ed alle altre fonti che completano il parametro di costituzionalità.

Il ruolo della Corte Costituzionale, di così ardua e complessa gestione in un ordinamento democratico, postula specifiche e gravose cautele di equanimità del giudicato, affinché la Corte non possa giungere con le proprie sentenze a comprimere τῷ πράγματι la discrezionalità del Legislatore. 

Per questo motivo la Corte Costituzionale italiana può giudicare della legittimità delle norme di Legge esclusivamente ai sensi della Costituzione e delle altre fonti sovralegislative, ma non della loro efficacia di fatto, né tantomeno della loro opportunità e giustizia in senso politico.

Una norma si considera legittima nel momento in cui essa sia conforme alla Costituzione e a tutte le fonti sovralegislativo, non essendo rilevabili antinomie con siffatte fonti superprimarie: potrà, pertanto, essere dichiarata illegittima da parte della Corte Costituzionale solo la legge effettivamente contrastante con le norme superiori. 

Non potrà essere, invece, oggetto di giudizio di legittimità costituzionale la questione se la norma sia inefficace o ingiusta: una regola di diritto è inefficace quando non possa raggiungere lo scopo pratico per la quale era stata pensata, essendo stata fattualmente congegnata con modalità tali da impedire il raggiungimento dei suoi scopi, mentre è ingiusta quando non sia conforme al parametro, solo in parte giuridico e positivo, della Giustizia.

La Consulta non potrà mai dichiarare incostituzionale, e pertanto illegittima, una norma non apertamente contraria a Costituzione, anche laddove questa risulti inefficace o ingiusta. Si tratta di un limite inviolabile, intrinsecamente imputaible al ruolo e alla funzione della Corte Costituzionale, necessario affinché il Giudice delle Leggi e dei Diritti non possa sostituirsi al Legislatore: è al Legislatore soltanto che spetta in via esclusiva la determinazione dell’indirizzo politico – normativo dello Stato.

 

In Filosofia del diritto, si afferma spesso, aristotelicamente, che Legislatore deliberi riguardo ai molti possibili modi dell’essere, che è variabile e molteplice a seconda delle norme da questo poste: la Corte Costituzionale, al contrario, non ha questo potere, poiché il suo compito è garantire l’ottemperanza alla Legge fondamentale e non quello di innovare l’ordinamento.

Spesso la Corte, posta di fronte a simili questioni, ha rilevato l’irricevibilità delle rispettive domande, non essendo munita del potere di compiere scelte discrezionali di politica legislativa, neppure al fine di sanare un vizio di legittimità costituzionale della legge.

 

Il giudizio di legittimità costituzionale della Legge degli altri atti aventi forza di Legge, che è compito precipuo della Consulta, risulta particolarmente agevole nel caso in cui la norma impugnata sia evidentemente difforme dal dettato Costituzionale, in quanto contrastante con il letterale disposto della Legge fondamentale: ma che cosa succederà se un atto di legge sarà apparso in contrasto con una norma della Costituzione, proprio in quanto e nella misura in cui abbia fornito tutela ad altro valore costituzionalmente garantito?

 

Simili casi sono innumerevoli.

Exemplum ut afferam, l’articolo 21 della Costituzione garantisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero “con la parola lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, ma l’articolo 3 postula che tutti i cittadini abbiano “pari dignità sociale”: come reagire, dunque, di fronte alla fattispecie di ingiurie, ove le contumelie offendono l’onore della persona, ma si configurano contestualmente quale indubbia forma di espressione del pensiero?

 

In queste ipotesi si rende necessaria una forma di bilanciamento capace di garantire la piena osservanza di entrambi i diritti, in ottemperanza al principio di cui all’art. 2 cost., per cui “la Repubblica riconosce e garantisce” tutti i diritti. In questo caso, è lo stesso articolo 21 a suggerire delle equilibrate ed attente linee di bilanciamento, prevedendo che la libertà di espressione non possa operare quando leda il buon costume.

Questioni ben più laboriosamente discusse, in quanto non espressamente direttamente dalla Costituzione, quanto al bilanciamento con altri valori costituzionali, sono poi inter cetera la configurabilità della c.d. “exceptio veritatis” e l’ammissibilità costituzionale dei c.d. “reati di opinione”.

 

Spesso, in effetti, è lo stesso Legislatore a prevedere positivamente dei bilanciamenti tra i diritti fondamentali: lo stesso Costituente ha, infatti, stabilito numerose forme di confronto tra le differenti posizioni giuridiche.

Exempli gratia, l’articolo 14 della Costituzione riconosce e garantisce l’inviolabilità del Domicilio, ma consente specifiche deroghe a tale diritto ai soli fini della “sanità” dei cittadini, della “incolumità pubblica” e dell’accertamento fiscale e tributario. Ancora, la disciplina di cui all’articolo 16 della Costituzione, per cui è possibile a tutti i cittadini spostarsi liberamente all’interno del territorio nazionale, patisce ingenti deroghe: la Legge Fondamentale fa espressa menzione dei “motivi di sanità o di sicurezza“, ma a questi è, in generale, opportuno associare le ragioni della proprietà privata. La Salute è bene giuridicamente rilevante ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, non solo come “fondamentale diritto dell’individuo“, ma anche quale precipuo “interesse della collettività“: per questo, spesso, la legge prevede, in forza dello stesso comma secondo dell’articolo, forme di T.S.O. anche coattive, cui non è data ad alcuno facoltà di sottrarsi. Ai sensi degli articoli 41 e 42 della Carta Costituzionale l’iniziativa economica e la proprietà privata sono libere, ma soggette allo stretto vincolo della loro “utilità” e “funzione sociale“.

Come già accennato, il Legislatore dispone nella sua attività di costruzione dell’immenso edificio dell’ordinamento giuridico, dell’esercizio di ampia discrezionalità nella scelta delle soluzioni normative ritenute preferibili, tra le molte possibili, nell’attuazione di uno solo degli infiniti modi attraverso i quali la vita sociale potrà essere gestita. Quando la Corte Costituzionale giudica delle leggi, che infrangano una qualche attribuzione costituzionale di diritti proprio al fine di tutelare altre posizioni fondamentali, il bilanciamento tra i diversi valori sarà necessario: ma, al tempo stesso, la Corte non disporrà della vasta discrezionalità normativa del Legislatore, potendo invece decidere nel solo modo costituzionalmente necessario. La Consulta non può, dunque, esprimere un proprio indirizzo di politica normativa, dovendo limitare proprio giudizio all’individuazione dell’unico bilanciamento che si possa ritenere ammissibile ai sensi della Costituzione: il giudizio di bilanciamento non ha pertanto portata generale e creativa, ma limita la propria efficacia al giudizio di un singolo fatto concreto, nel quale si realizza un bilanciamento tra i suoi valori promossi dalla Costituzione, nel solo modo che possa essere ritenuto costituzionalmente necessario sulla base della Legge fondamentale.

Ne consegue che – allorché sarà residuato un margine di discrezionalità politica sotteso alle questioni di cui trattisi – la Corte Costituzionale non potrà procedere che ad una pronuncia di monito nei confronti del Legislatore, essendole preclusa l’opzione tra le differenti scelte politiche potenzialmente effettuabili.

Affinché il giudizio di bilanciamento sia possibile, risulta – anzitutto – necessario che si verifichi una effettiva violazione di diritti e posizioni giuridiche soggettive riconosciuti dalla Costituzione: pertanto, il giudizio non risulterà possibile quando il conflitto tra le posizioni giuridiche risulti inconsistente, in quanto sanato da opportuna interpretazione conforme. Presupponendo una violazione di norme costituzionali, finalizzata al presidio di diritti di pari dignità normativa, il giudizio di bilanciamento non potrà nemmeno avvenire quando non vengano in considerazione interessi e diritti contrapposti: in tal caso la norma impugnata risulta manifestamente illegittima in quanto, contrastando toto caelo con il dettato della Legge Fondamentale, risulta assolutamente incapace di offrire ristoro a diritto fondamentale alcuno.

Il bilanciamento potrà avvenire solo quando gli interessi invocati dal giudice a quo dispongano di pari dignità normativa, appartenendo tutti a fonte costituzionale o comunque sovralegislativa: quando, invece, una delle norme o delle posizioni non assurga al rango di interesse presidiato dalla Costituzione repubblicana ma risulti munita di una natura gerarchicamente subordinata, si deve applicare il generale principio gerarchico, che impone la prevalenza del dettato costituzionale. Va, però, precisato come in genere molti diritti – sia pur non espressamente menzionati dalla Legge fondamentale – vi possano essere comunque compresi grazie ad all’interpretazione estensiva di norme esistenti: tra questi la giurisprudenza costituzionale ha individuato nel tempo la vita, l’informazione, la riservatezza, il rispetto per la vita personale, familiare e privata.

Accertata la violazione dei diritti costituzionali, la Consulta dovrà provvedere a verificare in che misura dette situazioni giuridiche soggettive possano essere bilanciate: poiché il giudizio di bilanciamento ha natura marcatamente casistica ed equitativa, la Corte è, di necessità, tenuta a determinare la precisa misura di prevalenza dell’uno e dell’altro diritto, operando una sintesi creativa tra le opposte posizioni ed attribuzioni. 

L’aspetto più critico del Giudizio della Corte Costituzionale consiste dunque proprio nell’individuazione del giusto punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti e le norme invocate: causa di ulteriori difficoltà è la già cennata totale incompetenza della Consulta ad effettuare scelte di policy normativa, quando la Costituzione offra al Legislatore la possibilità di deliberare in più differenti maniere.

Quale massima forma di espressione della funzione della Consulta, il bilanciamento assurge all’ancipite posizione di incombenza più complessa affidata alla Corte Costituzionale e di suo compito più impegnativo: nell’esercizio delle sue funzioni, il Collegio si cimenta in quell’opera che la dottrina ha talora definito “manutenzione dell’ordinamento” (così BIN-PITRUZZELLA).

Al fine di garantire il rispetto di tutte le posizioni che incontrino una tutela costituzionale, si rivela in questi casi necessario procedere al bilanciamento tra i diversi valori e diritti costituzionalmente riconosciuti: la Corte può così mediare tra i diversi diritti e individuare il giusto punto di equilibrio tra i differenti interessi. 

La tecnica argomentativa atta ad assicurare il rispetto di tutti gli interessi di dignità costituzionale esposti dal remittente fu coniata negli Stati Uniti dall’illustre giurista Nathan Roscoe Pound e venne sviluppata dal giudice di Karlsruhe.

Secondo il modello tradizionale, la Consulta provvede, innanzitutto, a determinare se l’esposto conflitto tra i diritti costituzionalmente protetti effettivamente sussista e non possa essere risolto per via di interpretazione: è del resto, già compito del giudice a quo provvedere a verificare che non sia possibile alcuna interpretazione conforme della norma di legge rispetto al dettato costituzionale, giungendo anche, se necessario, a giudicare in modo difforme dalla più affermata e diffusa giurisprudenza. È, però, possibile che il giudice remittente non sia riuscito ad individuare un’interpretazione conforme idonea a sanare l’antinomia: in tal caso, quando vi riesca, sarà la stessa Corte Costituzionale a provvedervi, con sentenza interpretativa di rigetto vincolante per il remittente.

Una volta verificato l’effettivo contrasto della legge con norme costituzionali o aventi rilievo costituzionale, la Consulta procede a ricercare in concreto il bilanciamento tra i diritti e gli interessi contrapposti: si dovrà, pertanto, verificare come combinare le differenti posizioni, quali solidi geometrici liberamente assemblabili in varie forme, al fine di individuare il più equo e bilanciato giudizio.

Gli esempi di giudizio di bilanciamento possibili sono innumerevoli, come innumerevoli possono essere i diversi contrasti tra posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite. 

Prevedere quale norma prevalga effettivamente e in che misura ciò risulti possibile è opera concretamente molto ardua e meritevole di accorta verifica caso per caso: per questo motivo, il giudizio di bilanciamento, per sua natura equitativo, casistico e particolare, non gode in alcun modo di efficacia riflessa in giudizi separati, propagando la propria autorità di giudicato solo alla questione sollevata dal giudice a quo e ad identiche fattispecie. 

Va, tuttavia, dato atto di come anche le pronunce facenti ricorso al bilanciamento – in quanto facenti a tutti gli effetti giurisprudenza costituzionale – possano essere prese in considerazione in separati giudizi, almeno in via persuasiva e con riguardo ai principi giuridici ivi enunciati.

 

 

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