Quando Jacques Derrida pubblicò “Della grammatologia” nel 1967, il panorama filosofico europeo subì un profondo sconvolgimento. A quasi sessant’anni di distanza, l’opera non ha cessato di generare riflessioni e dibattiti, confermandosi come uno dei testi più influenti del pensiero contemporaneo. Accolta da Michel Foucault come “il testo più radicale che abbia mai letto” e descritta da Emmanuel Levinas come un insieme di “pagine incandescenti, arborescenti”, quest’opera è la matrice da cui si è sviluppata la decostruzione, un approccio che ha profondamente trasformato la filosofia, la linguistica, le scienze umane e sociali.
Un attacco al logocentrismo
“Della grammatologia” è una critica radicale alla tradizione logocentrica, ovvero a quella forma di pensiero che, nella storia della metafisica occidentale, ha privilegiato il logos (ω λόγος) – la parola, la presenza, la ragione – come principio fondante della realtà e della conoscenza. Derrida smaschera il logocentrismo come un costrutto che, pur aspirando all’unità e alla stabilità, cela una complessità inquietante: l’idea che la scrittura, relegata per secoli a una funzione subordinata rispetto alla parola, costituisca in realtà un elemento imprescindibile per comprendere le condizioni di possibilità del pensiero e dell’esperienza.
Scrittura e supplemento
Derrida decostruisce il primato della parola attraverso una riflessione che si snoda attorno a figure emblematiche del pensiero moderno, come Saussure, Lévi-Strauss e Rousseau. La scrittura non è più vista come un semplice supporto secondario o un “supplemento” della parola parlata, ma come il luogo in cui si manifestano le ambiguità e le contraddizioni del linguaggio e del pensiero.
In particolare, il concetto di “supplemento” rivela come ogni sistema di significazione sia incompleto, sempre in tensione tra un dentro e un fuori, tra una presenza e una mancanza.
La decostruzione come metodo
Più che una teoria o una scuola di pensiero, la decostruzione proposta da Derrida è un metodo critico: essa svela le fessure, le aporie e le contraddizioni insite nei sistemi di significazione e nei testi. Non si tratta di distruggere o negare, ma di mostrare come ogni discorso si costruisca anche sulla base di ciò che esclude o reprime. Attraverso questo metodo, Derrida analizza concetti fondativi come il nome, l’origine, la verità e la scrittura stessa, evidenziandone la complessità e l’instabilità.
La nuova edizione italiana di “Della grammatologia” offre l’opportunità di riconsiderare l’eredità di Derrida alla luce delle successive riflessioni filosofiche e delle trasformazioni culturali degli ultimi decenni. La decostruzione ha influenzato il poststrutturalismo, la teoria letteraria, la politica, la scienza, l’economia e persino la tecnologia, aprendo nuovi orizzonti di ricerca su temi come il potere, la violenza, l’identità e la memoria.
Derrida ci invita a ripensare il mondo non come una realtà data e stabile, ma come un tessuto di relazioni, differenze e interpretazioni che continuamente sfugge a ogni tentativo di fissarlo in concetti definitivi. In un’epoca segnata da crisi globali, questa prospettiva critica risuona con forza, ricordandoci che ogni ordine – sociale, politico o culturale – è anche il risultato di esclusioni e marginalizzazione. Lo scritto “Della grammatologia” non è solo un libro: è un invito a vedere il mondo in modo nuovo, a interrogarlo, a decostruirlo. È un’opera che, come il tempo stesso, non smette mai di scrivere la propria storia.