Si assuma l’esempio seguente: tre bambini dispongono di una torta ed il primo propone agli altri di dividere il tutto in tre parti uguali, affinché tutti i ragazzi possano goderne in modo identico. Gli altri due si accordano, invece, al fine di disconoscere la sua fetta del dolce, riservandosi tutta la torta e dividendone l’intero in due sole parti. Due voti sono più di uno: per questo si esige di dividere la torta in due parti eguali soltanto, lasciando insoddisfatta controparte.
ln un regime costituzionale solido, la maggioranza, per quanto schiacciante, non potrà mai privare la minoranza sconfitta della sua “fetta di torta”. La macchina, a volte mostruosa, della “volontà generale” sarebbe, per citare ROUSSEAU, padre della democrazia diretta moderna, capace di schiacciare ogni opposizione e di imporsi su tutto il popolo con la sua forza: ma intervengono dei freni poderosi, che con la loro morsa potente la arrestano. Nessuno, dunque, potrà mai essere privato senza il suo consenso della sua “fetta di torta”: ciò, in quanto esistono degli specifici valori costituzionali che riconoscono e garantiscono la posizione giuridica di ogni soggetto di diritto del nostro ordinamento.
Questi limiti sono rappresentati dalla presenza di una costituzione rigida e, in quanto tale, refrattaria ad ogni riforma normativa che neghi i diritti fondamentali dell’individuo e delle formazioni sociali ove la sua personalità si svolge. La vita democratica dello stato deve riconoscere i diritti di ogni soggetto che al suo interno si collochi: uno stato in cui chiunque può essere privato di quella fondamentale “fetta di torta” non potrebbe infatti essere definito veramente democratico.
La stessa complessa maggioranza parlamentare e popolare necessaria alla riforma costituzionale non può alterare i diritti spettanti anche ad un solo, singolo individuo, come ritenuto dalla Corte costituzionale con sent. 1146/1988: i principi costituzionali fondamentali e i diritti inviolabili della persona umana, oltre a restare indisponibili al legislatore ordinario, non patiscono neppure la riforma costituzionale. I diritti umani, secondo la prospettiva di cui all’art. 2 della Costituzione repubblicana, essendo innati nell’uomo e sono dotati di un carattere pregiuridico e prepositivo, collocandosi prima della Società, della Costituzione e dello Stato, che si limitano a riconoscerli e garantirli, senza poterli rimuovere né alterare. E proprio per questo, il Nostro ordinamento costituzionale è nel suo complesso fondato sul diritto di ognuno a mangiare quella sua indispensabile “fetta di torta”.
Eppure, non di rado il legislatore, di tanto immemore e forte della propria legittimazione popolare diffusa, potrebbe spingersi ad esprimere norme di legge che di tali diritti non tengano conto: norme di legge in forza delle quali, secondo piena legalità, si pretende di strappare a quel bimbo la sua fetta di torta, in nome della maggioranza. Così il legislatore, talora afflitto dal virus del populismo legislativo, non di rado eccede in prese di posizione legislative draconiane, contro quelle categorie che volta per volta siano oggetto della pubblica critica, bersagliandole con lo strale di norme durissime e, spesso, irragionevoli: così sotto la scure furente del legislatore populista ricadono lo “straniero”, l’ “inimputabile”, il “penalmente recidivo”, il “non vaccinato”, vittime di una ferocia legislativa spesso ingiustificata.
Il farmaco necessario a eradicare un tale virus del populismo può e deve essere ricercato nella persecuzione della legalità costituzionale: è attraverso l’intervento sistematico di un soggetto che eserciti la funzione di giudice delle leggi secondo il parametro costituzionale che si potrà ricostituire la violata legalità ai sensi della Costituzione e, così, rilasciare a quel bambino la sua fetta di torta. E tale soggetto è, nell’attuale ordinamento costituzionale italiano, la Corte Costituzionale che, investita in via principale o incidentale di questioni di legittimità costituzionale della legge, ha il compito di annullare le norme illegittime restaurando l’ordo costituzionale preesistente.
Ciò in quanto, come fu per la prima volta osservato dalla corte suprema degli Stati Uniti d’America nel caso Marbury c. Madison, nessuna Costituzione veramente rigida potrebbe esistere se si permettesse al legislatore ordinario di derogarvi senza la previsione di alcun rimedio ed in difetto di un sistema di garanzia: in quanto è solo la presenza di un sistema di garanzia a rendere rigida la Costituzione, la quale – seppure nominalmente inalterata – rimarrebbe irreparabilmente esposta alla scure del legislatore.
Grazie alla previsione di un intervento riparatore della Consulta, nessuno può essere privato della sua “fetta di torta”: ma è anche necessario che nessuna di queste fette sia più grande o più buona delle altre. Ciò, perché in una civiltà giuridica moderna non possono esistere diritti costituzionalmente garantiti in assoluto: per quanto la tutela degli interessi delle posizioni giuridiche costituzionalmente garantite rappresenti una pietra angolare (per usare il lessico della giurisprudenza costituzionale) della forma di stato democratica, l’abuso del tutto smodato ed illimitato dei diritti diviene, da garanzia di giustizia, potente veleno, capace di corrodere i fondamenti della società.
Il bilanciamento si rende, segnatamente, necessario ogniqualvolta più diritti o interessi costituzionalmente garantiti si pongano in reciproco contrasto: poiché altrimenti la garentia di una delle posizioni giuridiche soggettive riconosciute dalla Legge fondamentale finirebbe per negare in concreto tutte le altre.
La garanzia di uno ius in omnia del tutto immoderato ed insuscettibile di bilanciamento con altre posizioni giuridiche determinerebbe una situazione di sistematico ed intollerabile conflitto sociale, che HOBBES definisce come bellum omnium contra omnes: uno stato di fatto di assoluto disordine, nascente dall’anarchia generale e dall’incapacità dello Stato di porre limiti all’esercizio del diritto, che si trasforma inevitabilmente in abuso.
Gli unici diritti per i quali si esclude ogni forma di esclusione o limitazione in ragione del bilanciamento con altri interessi e posizioni sono il diritto alla vita e quello alla dignità personale. Pur risultando entrambi sprovvisti di espressa menzione costituzionale, questi iura connata individuali sono, però, indubbia prerogativa di tutti gli uomini semplicemente in quanto tali: la loro presenza positiva e la loro rilevanza giuridica trascendono le singole disposizioni della Legge Fondamentale, risultando deducibili dalla lettura di ciascuna norma del Nostro ordinamento, come più volte ribadito dalla Consulta.
La Corte costituzionale si assicura che ogni fetta sia tagliata nelle giuste proporzioni, attraverso il giudizio di bilanciamento costituzionale dei diritti, degli interessi e delle posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantiti: tale sindacato – adempiuto nelle forme che la dottrina statunitense denominava “balancing test” (ROSCOE POUND) e quella germanica “Abwägung” – consente al Giudice delle leggi di esercitare i poteri connessi al proprio ufficio prevenendo ogni forma di sopruso nella guisa di una indiretta violazione di taluni diritti.
Così, in difetto di un adeguato bilanciamento non v’è legge che possa esistere: perché si tratterebbe di una legge arbitraria, che negherebbe arbitrariamente a qualcuno una parte significativa della sua porzione di torta.
Così, spesso l’opinione pubblica afferma che “in democrazia vince la maggioranza”: ma è davvero sempre così? Quanto vale quella “fetta di torta”? Spesso ce ne dimentichiamo.