UNO SGUARDO PSICOANALITICO SUL POPULISMO: LA POSIZIONE DELL’INDIVIDUO NELLE MASSE

PSICOANALISI

Il populismo è la forma politica che maggiormente rappresenta ad oggi le democrazie occidentali e che negli ultimi decenni è stato connotato ampiamente con accezione negativa.

C’è molta correlazione con la vittoria capitalistica che ha sconfitto e annientato ogni ideale prevedente un popolo caratterizzato da uguaglianza e libertà, ma soprattutto la speranza di avere un popolo. I valori consumistici hanno trasformato i popoli ,composti da persone, in masse: queste sono formate da individui denotati attraverso un valore economico e che riportano intrinsecamente le caratteristiche invarianti del mercato, la produzione e il consumo, alla stregua di un umano non più portatore di vizi e virtù, diritti e doveri, valori e ideali, bensì come essere vendibile e monetizzabile, che riflette il paradigma societario dell’utile tirannico.
Dal punto di vista psicologico il fenomeno del populismo può essere guardato come la necessità (o la costrizione) di avere un leader carismatico che si faccia portavoce, in modo anche fittizio, dei problemi delle classi sociali medie e che, attraverso il potere d’influenza esercitato restituisca un senso di sicurezza che manca all’individuo moderno. Certamente questo può sembrare molto simile alle condizioni che portano le società alle scelte di dittatori e tiranni, indipendentemente dalle azioni aberranti e disumane messe in atto in quanto questo aspetto richiederebbe un altro spazio di riflessione. A parere del sottoscritto, infatti, le condizioni e i presupposti psichici sono molto simili, ciò che cambia nel populismo è la matrice sociale di riferimento, quel terreno comune che determina la comprensione e il significato di tutti gli eventi (Foulkes, 1964).
Fin dagli inizi la psicoanalisi si è occupata di psicologia delle masse, nonostante venga spesso identificata come la scienza che si occupa esclusivamente dell’individuo. La realtà è che, Freud, già a partire dai suoi primi scritti ha sempre dato rilevanza al contesto sociale (che qua chiameremo matrice) allargato per definire i suoi costrutti psichici e la sua intera metapsicologia, e cercando di comprendere, anche se spesso abbagliato dalla luce delle sue scoperte, il rapporto che vi è tra contesto storico-culturale e individuo. Per Freud il rapporto del gruppo con il capo è dato da meccanismi di identificazione attraverso un processo con il quale l’Ego ideale individuale viene sostituito da un oggetto esterno. Ovviamente oltre alle dinamiche in sincronia bisogna considerare in una prospettiva individuale analitica che tutti i processi transferali diacronici si attivano nell hic et nunc di una precisa situazione storica e sociale, rendendo il campo un oggetto di indagine complesso e quindi di difficile distinzione tra il “qui e ora” e il “lì e allora”.
La domanda che sorge spontanea è il chiedersi come mai certi tipi di capi? Come mai una forma politica basata sul populismo?

Certamente le risposte non possono che essere interpretative. L’individuo è intrinsecamente portato a mettere in atto meccanismi di difesa, funzioni proprie dell’Io, per poter gestire le conflittualità interne ed esterne (Freud). Il mondo attuale è sicuramente caratterizzato da una serie di emozioni (maniacalità, tristezza depressiva) dove la dominante spesso appare essere la paura. Queste emozioni primitive devono essere tenute a bada dall’individuo attraverso i suoi meccanismi di difesa inconsci per evitare la frammentazione del suo Sé, ovvero una condizione psichica arcaica, che potremmo identificare come una condizione simil-psicotica in cui i confini tra realtà esterna e mondo interno sono labili. Prendendo in prestito le parole di Melanie Klein potremmo dire che viviamo in un mondo fermo alla posizione schizo-paranoide senza però riuscire a starci senza angoscia di persecuzione (capacità negativa di Bion). Questo significa che gli individui che vivono in questo periodo utilizzano il meccanismo della scissione, dividendo l’esperienza esterna in buona o cattiva senza possibilità di integrare le parti.

Il populismo moderno aderisce perfettamente a questo modo di pensare, incarnando tutte le caratteristiche positive che vengono proiettate dagli innumerevoli seguaci e scaricando gli aspetti negativi disconosciuti nei confronti del nemico. Certo che la tattica del trovare un nemico è una modalità assai nota e antica di manipolazione delle masse e non rappresenta una caratteristiche specifica del populismo, tuttavia è interessante notare come con l’avvento dell’era digitale il populismo sia stato in grado di creare un nemico in assenza del nemico stesso: non è il nemico della guerra, del fronte, che ti ritrovi davanti, è un nemico costruito a pennello, un nemico vestito di caratteristiche (dis-)umane che non si sa nemmeno se gli appartengano davvero. Altri motivi che potrebbero portare il populismo sul trono (ossimoro sarcastico, ma non poi così tanto) sono tutte quelle serie di modalità individuali (oltre all’identificazione e la scissione) per non sentire e percepire l’incertezza, alla quale siamo più che mai intolleranti, come ad esempio la compensazione. Per Adler questa difesa è come un naturale sforzo che tutte le persone mettono in atto al fine di superare il complesso d’inferiorità mentre per Freud è un movimento volto al non sentire i propri limiti e le proprie debolezze, che vengono compensati proiettando aspetti grandiosi (derivati di un Narcisismo primario) in oggetti esterni ai quali poi si legano.
La psicodinamica dei gruppi può aiutare a dare uno sguardo più attento al fenomeno del populismo. Bion, grande esponente della scuola inglese psicoanalitica, si è occupato del Gruppo riuscendo ad osservarlo nelle sue due componenti primarie: il gruppo di lavoro e il gruppo in assunto di base. Il gruppo di lavoro è un insieme di individui che hanno un obbiettivo da raggiungere per il quale si sono riuniti; è raro però che questi riescano sempre a seguire con razionalità gli scopi prefissati in quanto in maniera inconscia esiste l’altra faccia della medaglia: il gruppo in assunto di base. Gli assunti di base sono fantasie inconsce condivise che rappresentano il motivo “virtuale” per il quale il gruppo si è riunito; “in altre parole, i componenti del gruppo iniziano ad agire sulla base di un assunto riguardo al gruppo che è diverso dal compito preposto”.

Gli assunti di base identificati da Bion sono 3: attacco-fuga, dipendenza e accoppiamento. Nell’assunto di dipendenza il gruppo si riunisce per contrastare le angosce depressive e mette atto debolezze e incapacità, necessitando appunto di dipendere da qualcuno di superiore. L’assunto di accoppiamento consiste in una credenza che due membri del gruppo si accoppieranno e daranno vita a un messia, un salvatore (in futuro) che placherà tutte le loro angosce. Infine, il gruppo attacco-fuga è una regressione schizo-paranoide: la cattiveria è proiettata all’esterno ed è quindi necessario scappare o attaccare. Nonostante Bion queste teorizzazioni nascano dall’osservazione di piccoli gruppi gruppoanalitici mi piace pensare come questi concetti siano espandibili anche su gruppi di larga scala, come popoli e società (tema tutt’ora dibattuto in psicoanalisi).
La rivisitazione di Bion conferma le geniali intuizioni di Freud sui gruppi, come quella di aver ritenuto libidica la natura del legame tra capo e gruppo. Un legame che oso ipotizzare abbia natura transferale con riattualizzazione di modelli operativi interni generati nel rapporto con le figure genitoriali come espressione di un’alterità autoritaria (Super Egoica), nel superamento di una triangolazione edipica grazie all’elaborazione del lutto per la morte del desiderio di uccisione del padre. La forclusione del nome del padre, così come enunciato da Lacan, crea una condizione psichica immatura e fragile che non è in grado di tollerare l’incertezza senza persecuzione (-K, Bion) e quindi ricerca assiduamente, oltre che a un capo paterno, un gruppo che soddisfi gli assunti di base di accoppiamento e dipendenza.
La scelta del leader tramite identificazioni proiettive è indipendente dalle necessità del gruppo di lavoro e in rapporto invece a quelle dell’assunto di base dominante. Non si sceglie un capo gruppo per adesione a ideali ma in quanto possiede qualità (o sembra possederle) che lo rendono adatto a soddisfare i bisogni (inconsci) del gruppo di base. Importanti nell’analisi del populismo sono le qualità e le capacità di perdere la propria individualità (divenendo automa), le scarse capacità di contatto con la realtà e la capacità di esprimere le richieste emotive del gruppo di base. Questi aspetti dimostrano come un gruppo possa essere considerato una condizione regressiva, per tutti i membri che ne fanno parte, portando gli individui a condizioni precedenti quelle dell’individuazione e più vicine a una fusionalità quasi infantile. Il seguire il gruppo, l’esistere e l’essere nella matrice, sono delle condizioni ricercate perché portano vantaggi non di poco conto per l’individuo: la creazione di un pensiero unico, il silenziamento dei conflitti interni, l’evitamento dell’angoscia di castrazione (assertività), la diffusione di responsabilità e tante altre. Inoltre, mi piacerebbe concludere ponendovi due prospettive diverse sull’emancipazione: la scuola Umanista e positivista degli anni ’60 vede l’individuo come programmato all’autodeterminazione e alla libertà e quindi la società è l’ostacolo che si contrappone a queste tendenze naturali (opposto a Freud che riteneva la società una diga necessaria per tenere a bada le pulsioni). Dall’altra parte invece un’altra corrente, di cui un esponente è Erich Fromm, ritiene che la libertà spaventi a tal punto l’individuo che egli troverà qualsiasi modo e strumento per poterla fuggire. Certamente la psicologia non nasce per giudicare bensì per analizzare le questioni psichiche ma tuttavia: “Una teoria psicologica propone inevitabilmente dei valori, non è solo un enunciato solo persone, ma un atteggiamento nei loro confronti, un modo di mettersi in relazione con l’umanità” (Bannister, 1986).

Scritto da Marco Zardini.

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