IL PROGRESSO NELLA FILOSOFIA

Il Progresso, una parola incisiva che segna la direzione proseguita dagli occidentali. Questo vocabolo, di per sè pregnante, indica l’avanzamento ad uno stadio superiore, ad un’ evoluzione, ad un miglioramento (la parola progresso è inscrivibile in qualsivoglia ambito del sapere, dalla politica alla storia, dalla filosofia alla scienza e la lista potrebbe continuare a oltranza).

In questo breve scritto cercherò di mettere a fuoco soprattutto il significato che ha assunto il progresso in contesti come quelli della filosofia e della scienza (ripercorrendo, a grandi linee, la storia antica passando per l’età moderna andando a toccare e a raggiungere la storia – filosofico scientifica – contemporanea).
Se andiamo a scavare nel passato, in particolare dopo il diffondersi della società ellenistica, troviamo come Seneca concettualizza il progresso, affermando che lo sviluppo dell’uomo, il suo progresso è da ricercare nella saggezza, nella sagacia, nell’intraprendenza dell’individuo. La persona così intesa è persona che fa di tutto per industriarsi, per procacciare una vita diversa da quella che lo ha preceduto, per raggiungere con le sue abilità l’edificazione morale e intellettuale.
Il progresso per Seneca non rivolge solo uno sguardo generale ma anche specifico nella misura in cui idealizza il «progresso futuro» : ciò che è in passato, i saperi o le cose conosciute, sono soppiantate da quelle presenti, di cui è consigliabile prenderne atto (per rintracciare una connotazione progressista), se non fosse che anche quelle presenti, in seguito, saranno superate dalle cose future e i posteri, dice Seneca, si meraviglieranno di quante cose avessimo ignorato in quei tempi lì. Le sue parole, riformulate nelle mie brevi righe, sono riassunte in questa celebre frase:

«Verrà un giorno in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua di lunghi secoli porterà alla luce ciò che ora ci sfugge. Verrà il giorno in cui i nostri posteri si meraviglieranno che noi ignorassimo cose tanto evidenti.»

Il concetto di progresso viene profusamente trattato anche nel “De rerum natura” di Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo romano. Esso giudica non solo che il progresso è buono, utilitaristico ma afferma altresì che esso deve essere indirizzato al miglioramento della natura al fine di colmarne le imperfezioni e le lacune. Secondo questa angolatura, nel progresso tecnologico, in questo modo inteso, è possibile ravvisare sì i vantaggi ma anche svantaggi: consente l’appagamento di bisogni naturali ma non di quelli necessari, che modulano e declinano il piacere provato in tanti possibili modi che essi successivamente, col pubblicismo mediatico, verranno surrogati da interessi nuovi, innovativi e perciò più stimolanti, più allettanti.
L’idea del progresso è rintracciabile anche nel pensiero cristiano che, avendo ereditato diversi caratteri dalla tradizione ebraica, intende la storia come un avvicendarsi di eventi che procedono (metaforicamente questa concezione è visualizzabile proprio come una “semiretta” che parte da un tratto di per se finito, e prosegue all’infinito sino a raggiungere l’infinita trascendenza ed, escatologicamente, la salvezza spirituale.
La concezione di un progresso, di un avanzamento rettilineo partendo da una radice, da un inizio divino approdando alla conclusione del mondo, all’Apocalisse è una concezione presa in considerazione da svariati ecclesiastici e intellettuali cristiani quali Agostino d’Ippona e Bernando di Chartres nel medioevo cristiano. Quest’ultimo presentava in maniera fantasiosa e allegorica il concetto del progresso secondo cui gli uomini, dei nani rispetto agli antichi giganti, poggiavano sulle loro spalle per vedere meglio, lontano, il futuro che li attendeva.


Anche autori più moderni si pronunciano e non sorvolano il concetto di progresso. Un esempio lampante è Hegel che, nella Fenomenologia dello Spirito, esplica la storia come un intinerario che conduce, a mano a mano, all’autocoscienza razionale dello spirito umano (ovvero sia alla consapevolezza di sé attraverso la ragione in modo tale che, l’autocoscienza, si scopre libera e autonoma che trova la propria attuazione in forme politiche-sociali più mature.
Nella “filosofia della storia” di Voltaire, illuminista che propugnava il cosmopolitismo e il pacifismo a discapito del militarismo, riecheggia il progresso come il passaggio dalle barbarie alla civiltà in cui predomina la ragione anziché l’irrazionalità che potrebbe, nessuno lo esclude, ritornare col fanatismo religioso, con le guerre e via discorrendo ad una situazione mortifera di involuzione e di decadenza. La rassegna potrebbe “infinitizzarsi” direbbe Giovanni Gentile, rifacendosi allo spiritualismo di Hegel, ovvero proseguire all’infinito (si potrebbe approdare, continuando l’analisi, i fisiocratici, Turgot e Condorcet, fino a Saint-Simon e a August Comte, fondatore della sociologia) mentre qui mi sono limitato a distillare il discorso sul progresso attraverso il ricavo dei punti essenziali. Un ultimo autore, su cui vorrei soffermarmi, è Emanuele Severino, filosofo bresciano che ha dedicato tutta la sua vita alla filosofia, cercando di maturare un pensiero stabile (destinale secondo le sue grammatiche) lontano dal nichilismo, dall’annullamento dell’esistenza. Per lui il progresso scientifico insieme al fenomeno della tecnica rappresenta il punto nodale e più rappresentativo della società post-moderna:

“La tecnica sta all’inizio della nostra civiltà ma il suo dominio è andato sempre più crescendo ed oggi noi viviamo nel dominio della tecnica e ogni aspetto della nostra vita dipende dal modo in cui la tecnica ha organizzato l’esistenza dell’uomo sulla terra” (Storia del Pensiero Occidentale, Mondadori 2019)”

Secondo Severino le forze della tradizione occidentale, ovvero il sapere filosofico, il cristianesimo, l’illuminismo, il capitalismo, la democrazia, il comunismo, inizialmente hanno concepito la tecnica come uno strumento, come un mezzo, guidato dalla concettualità della scienza moderna. Attraverso la propria potenza tecnologica, le forze culturali e politiche guerreggiano per una loro egemonia: ad esempio il capitalismo, che sostiene l’incremento del profitto privato, producendo diseguaglianze, e la democrazia che sostiene gli ideali di libertà e di uguaglianza, mettendo sullo stesso piano tutti si scontrano, mostrando tutta la loro potenza, il loro sviluppo, il loro progresso tecnico e scientifico.

Di Emanuele Pestrichella.

Lascia un commento