Max Weber: l’etica protestante e lo spirito del Capitalismo.
di Emanuele Pestrichella.
«L’avversario con cui ebbe in primo luogo da lottare lo “spirito” del capitalismo nel senso di uno stile di vita ben preciso, vincolato da norme e vestito dei panni di un’etica, rimase quel modo di sentire e di comportarsi che si può chiamare “tradizionalismo”»
Max Weber, in uno dei suoi celeberrimi studi, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, induce i sociologi e gli studiosi ad una acuta riflessione: egli asserì che le società capitalistiche, opulente, dove signoreggia la ricchezza e la prosperità, hanno raggiunto il loro splendore grazie all’appoggio delle religioni (nel suo studio intenziona il calvinismo). Mentre per Marx la società moderna è centralizzata sull’economia (la struttura egli la chiama) mentre la politica, la religione, l’etica e molto altro sono sovrastruttura ideologica ovverosia un prodotto dell’economia, per Weber la religione non passa in secondo piano ma è componente attiva e integrante della società che consente la piena affermazione dello spirito capitalistico. Ma qual è lo spirito capitalistico per Weber?
«Uno dei mezzi tecnici che l’imprenditore moderno suole impiegare per ottenere dai suoi operai la massima efficienza possibile per aumentare l’intensità del lavoro, è il cottimo».
Il cottimo, a scanso di equivoci, è una forma di retribuzione basata sulla quantità di lavoro prodotto anziché, proprio com’è attualmente, in base alla durata della prestazione lavorativa.
«Per esempio nell’agricoltura un caso che esige imperiosamente l’intensità lavorativa quanto più alta possibile suole essere la raccolta, poiché, soprattutto se il tempo è incerto, dalla massima accelerazione pensabile di essa spesso dipendono probabilità di guadagno o di perdita straordinariamente alte».
In base a quanto afferma Weber, l’aumento dei cottimi spesso ebbe vistosamente non il risultato di ottenere una maggiore efficienza lavorativa nello stesso intervallo di tempo, ma una minore, poiché gli operai, non rispondevano all’aumento del cottimo con un rendimento giornaliero più alto, ma più basso. L’operaio non si chiedeva quindi quanto potesse guadagnare al giorno se avesse fatto il massimo lavoro possibile bensì quanto doveva lavorare, per guadagnare lo stesso importo.
Il lavoratore o meglio il complesso di lavoratori che adottano questa forma mentis sono quelli che vengono chiamati da Weber “tradizionalisti”. Il tradizionalismo lavorativo nella maniera Weberianamente intesa è quello che caratterizzava la forza lavoro nell’economia precapitalistica.