testo scritto da Andrea Soppelsa.
Il fascismo amava presentare di sé l’immagine di stato totalitario; nondimeno, a causa della querelle sull’argomento suscitata dalle contrapposte interpretazioni di Renzo de Felice ed Emilio Gentile, sembra più corretto parlare di “totalitarismo limitato”. Alberto Aquarone ha elencato cinque gruppi che non si sono mai allineati completamente o ideologicamente ad esso; essi sono: la chiesa, alcune figure di spicco del fascismo stesso, le élite industriali, le classi lavoratrici e gli intellettuali. Nemmeno i mass media e le industrie culturali furono mai completamente integrati nello stato fascista, sebbene cultura e tempo libero per i fascisti rivestissero un ruolo centrale. Le aspirazioni totalitarie non permisero loro di distinguere tra stato e società civile. Dagli anni Trenta, essi perseguirono una politica di politicizzazione dall’alto, coercitiva, pedagogica e unilaterale.
Lo fecero trasformando il PNF da partito di un milione di iscritti a organizzazione di massa, con 4,5 milioni di tessere. Il mezzo fu una rete di strutture ufficiali legate al territorio, al lavoro, al sesso, all’età in cui assorbire tutti i settori della popolazione. Parte della loro strategia identificativa furono adunate, parate e uniformi. Per i giovani le attività organizzative erano fonte di piacere, ma non tutti accolsero con entusiasmo l’introduzione delle regolari attività in uniforme nel 1935. Il culto di Mussolini fu al centro delle coreografie: il duce fu la grande star del fascismo; grazie ai mezzi di comunicazione, per gli italiani egli sembrava essere onnipresente. L’ente fascista designato a rimpiazzare le organizzazioni operaie volontarie fu l’OND, l’Opera nazionale dopolavoro che, come ha rilevato Victoria de Grazia, venne ideata da riformatori di ispirazione americana passati al fascismo nei primi anni Venti. Il fine dell’OND fu essenzialmente quello di occupare piacevolmente i lavoratori, dimostrando loro la benevolenza del fascismo. Solo i più irriducibili antifascisti riuscirono a sottrarsi alle organizzazioni del regime -che, fondamentalmente, offrivano divertimenti assai modesti a prezzo scontato-, ma lo fecero a un costo molto alto, comportante l’esclusione sociale. Dopo i Patti lateranensi, le associazioni laiche cattoliche, le attività parrocchiali, le riviste e i giornali confessionali esistettero ancora; i rapporti fra fascismo e chiesa furono altalenanti. Durante il ventennio, L’Osservatore romano e la Radio vaticana costituirono le uniche fonti di informazioni alternative a quelle controllate dai fascisti. Il ruolo dello sport venne compreso da alcuni cattolici, in primis Luigi Gedda, fondatore del Centro sportivo italiano. Il ciclista Gino Bartali divenne un esempio di sportivo cattolico e, nel 1948, offrì esplicitamente il suo appoggio alla DC.
La chiesa era intenzionata ad arrestare il processo di secolarizzazione: in tal senso, venne demandato un ruolo primario al settimanale Famiglia Cristiana e, nel dopoguerra, venne lanciata anche la controffensiva sul piano della morale sessuale, che si concretizzò nella canonizzazione di Maria Goretti, undicenne assassinata da colui che voleva usarle violenza carnale. Dopo la caduta di Mussolini, nel vuoto creatosi, la chiesa tentò anche di promuovere il culto della personalità del papa. In tal senso, la visita di Pio XII al quartiere San Lorenzo dopo il bombardamento rimase profondamente impressa nella immaginazione delle persone.
Sul versante opposto, i leader del Partito comunista italiano ritenevano necessario che la classe operaia si appropriasse della cultura alta con l’ausilio del partito, che svolse quindi un’importante opera educativa; fu anche per questo che il PCI riuscì a conquistare gli intellettuali alla propria causa. Assenti per quasi vent’anni dal paese, i leader comunisti non compresero subito l’importanza dello stato nei campi dell’assistenza sociale, dell’intrattenimento e dello svago. Le Case del popolo furono straordinari centri di identità di classe e di comunità. I lavoratori le frequentavano volentieri, anche con le famiglie, perché sentivano che quella era davvero la loro casa, era cioè l’espressione della classe operaia organizzata. Infatti, differentemente da cattolici e fascisti, i comunisti non usufruivano di risorse statali per supportare la loro presenza nella società. Il cuore pulsante delle attività del PCI furono le sezioni del partito, sparse per città e villaggi. Dal 1948, sul modello francese della Fête de l’Humanité, nacque la festa del partito, la festa dell’Unità, che riscosse grandissimo successo. Anche i comunisti ebbero il proprio culto della personalità: in prima battuta fu Stalin, colui che aveva sconfitto Hitler, quindi Palmiro Togliatti, il segretario del partito. Il culto della personalità di Togliatti nacque dopo il gravissimo attentato da lui subito dinanzi al parlamento nel 1948; vennero composti canti popolari sull’avvenimento ed anche un film, Togliatti è tornato. Il segretario del PCI divenne allora una sorta di “papa rosso”.
In conclusione, la modernizzazione italiana non seguì il modello fascista, né quello cattolico e nemmeno quello propugnato dai comunisti italiani. La modernizzazione fu una mistione di influenze americane e pratiche economiche, politiche e culturali nazionali. La cultura di massa non fu mai un fenomeno puramente importato, così come il consumismo non fu una esperienza completa fino agli anni seguenti il miracolo economico (1958-63). Certamente, la diffusione del consumo fu aiutata dall’organizzazione del tempo libero. Bisogna sottolineare che, dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Settanta, molti stati europei, seguendo una tendenza comune, intensificarono la loro intromissione nelle attività culturali. La cultura di massa e l’ampliamento delle reti di comunicazione di massa resero la società più trasparente, consapevole di sé, aperta all’altro. Essa, quindi, può essere strumento di rafforzamento e costruzione di una identità nazionale nello stesso momento in cui apre le frontiere a prodotti, stili e divi di altri paesi.
Bibliografia complessiva
- Leonardo Rapone, L’Europa del Novecento, Carocci, Bologna, 2021
- Convegno Sguardi dal mondo. L’Italia contemporanea nella storiografia internazionale, Bologna, 30 marzo – 02 aprile 2022. Nella fattispecie: La diffusione del fascismo italiano nel mondo autoritario degli anni Trenta (Antonio Costa Pinto) e Genere e divise nel Ventennio fascista (Perry Willson)
- Patrizia Dogliani, Storia dei giovani, Bruno Mondadori, Milano, 2003
- Patrizi Dogliani, Il fascismo degli italiani. Una storia sociale, Utet, Torino, 2008
- Patrizi Dogliani-Luca Gorgolini, Un partito di giovani. La gioventù internazionalista e la nascita del Partito comunista d’Italia (1915-1926), Le Monnier, Firenze, 2021
- Catia Papa, L’Italia giovane dall’Unità al fascismo, Laterza, Roma-Bari, 2013
- David Forgacs-Stephen Gundle, Cultura di massa e società italiana. 1936-1954, il Mulino, Bologna, 2007
- Simona Colarizi-Vittorio Vidotto-Emilio Gentile-Giovanni De Luna, Storia d’Italia in 100 foto, Laterza, Roma-Bari, 2017
- Massimo L. Salvadori, Storia d’Italia. Il cammino tormentato di una nazione, Einaudi, Torino, 2016
- Edoardo Novelli, I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia repubblicana, Carocci, Bologna, 2021
- Raffaella Baritono, Eleanor Roosevelt. Una biografia politica, Il Mulino, Bologna, 2021