La sentenza 41 del 2021 è un caso unico nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: essa riguarda i Giudici Ausiliari di Appello, i quali sono giudici onorari(1) in base ad un decreto legge, emanato dal Governo Letta, ovvero il D.L 69/2013 il cosiddetto “Decreto del Fare”, come convertito nella Legge 98/2013.
Questi giudici non sono eletti per pubblico concorso ma sono nominati per decreto del Ministero della Giustizia, previa delibera del CSM(2) in base ai requisiti stabiliti dalla legge citata, su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente nella composizione integrata a norma dell’art. 16 del d.lgs 27 gennaio 2006 . Questa sentenza è stata sollevata con un giudizio in via incidentale(3) dalla Corte di Cassazione mediante le ordinanze di remissione n. 84 e 96 del 2019 con riguardo al giudizio di legittimità costituzionale degli articoli che vanno dal 62 al 72 del d.l. 69/2013 nella parte in cui conferiscono ai giudici ausiliari il ruolo di giudici onorari: questi articoli sarebbero stati, a dire del giudice a quo(4), in contrasto con l’art 106 Cost.(5).
Questa disposizione costituzionale attribuisce ai giudici onorari l’esercizio delle funzioni l’esercizio delle funzioni di giudice singolo, ovvero monocratico di primo grado, come già affermato nella sentenza 99/1964, giudici i quali solo “in via eccezionale e transitoria ed in caso di supplenza(6). Possono ricoprire funzioni collegiali, situazione già affermate dalla Corte nella sentenza 103/1998 dove si è parlato di “supplenza contingente in vista di situazioni eccezionali”.
La Corte ha dunque dichiarato incostituzionali le norme oggetto di giudizio, nella parte in cui non si prevede che la loro vigenza sia circoscritta al periodo entro cui avverrà il riordino delle funzioni e del ruolo della magistratura onoraria , ovvero nei tempi stabiliti dall’ art. 32 del Decreto legislativo 116/ 2017, cioè entro il giorno 31/10/2025. La Corte si è quindi servita di una pronuncia manipolativa di tipo additivo(7) legittimando una “temporanea sopravvivenza del vizio di legittimità costituzionale” rispetto all’art 106 Cost.
Nel corso della sentenza la Corte opera una ricostruzione storica dettagliata della figura del magistrato onorario evidenziando come, sino ab origine-con l’istituzione del Vice Procuratore Onorario (VPO) e del giudice conciliatore, arrivando ai giorni nostri con l’istituzione del giudice onorario di pace(GOP)- questo tipo di magistrato abbia esercitato delle funzioni prevalentemente monocratiche e di primo grado. In sintesi, in base ad un’ interpretazione ermeneutica ed ortodossa dell’articolo 106 comma 2 Cost. la figura del giudice onorario compatibile con tale disposizione è quella di giudice singolo, monocratico e di primo grado che solo in via eccezionale e transitoria può comporre collegi di tribunale. Ad oggi, invece, dopo il D.L. 69/2013 i Giudici Ausiliari di Appello sono titolari di funzioni collegiali e di Secondo grado, quali sono quelle esercitate dalla Corte d’Appello.
La sent. 41/2021 si contraddistingue per una peculiare modulazione dell’ efficacia temporale: si tratta di una pronuncia caratterizzata da una peculiarità, ovvero il termine al quale si riallaccia l’efficacia della declaratoria di incostituzionalità con un forte monito al legislatore. Possiamo pertanto osservare come la Reductio ad legitimitatem operata dalla Consulta sia stata condotta attraverso la tecnica della pronuncia additiva inserendo, nella norma censurata, un termine entro cui il legislatore sarà chiamato ad intervenire.
La decisione in questione si qualifica per una efficacia profuturo della declaratoria di incostituzionalità resterà attiva ancora per 4 anni. Ad abundantiam, il Giudice delle Leggi ha chiamato – a sostegno della sua ratio decidendi- come precedente di illegittimità profusero, la sentenza 13/2004 in tema di dirigenti scolastici regionali, in occasione della quale la medesima corte ha espressamente detto che la norma censurata deve continuare ad operare in vista di una normativa idonea disciplinare il settore e la fattispecie.
La ratio principale che si pone a fondamento della tipologia della modulazione temporale de qua, è quella di prevenire un grave pregiudizio alla giustizia e all’ amministrazione pubblica(8). La Corte Costituzionale ha dunque operato sul fattore temporale dall’esterno, derogando alla disciplina degli effetti della sentenza di accoglimento ex art. 30 comma 3 L. 87/1953(9).
In nuce, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale gli articoli che vanno dal 62 al 72 del D.L. 69/2013, come convertito in legge n. 98/2013, nella parte in cui non prevedano che rimangano vigenti sino al termine stabilito dall’art 32 del d.lgs. 116/2017 ovvero entro il giorno 31/10/2025.
Inoltre, a fortiori, il Giudice delle Leggi ha ritenuto ragionevolmente fondata l’opzione di far decorrere l’illegittimità costituzionale delle norme oggetto di giudizio solo a partire dal 31/10/2025 essendo che l’illegittimità ex nunc provocherebbe un grave pregiudizio tanto alla Magistratura – art 111 Cost. quanto alla Pubblica Amministrazione.
L’efficacia ex nunc della declaratoria di incostituzionalità andrebbe a sovrapporsi- scontrandosi veementemente- con i precetti dell’art 106.2 Cost. per i motivi citati ut sopra, con l’art 97.2 Cost(10) che prescrive il buon funzionamento della P.A., violando l’articolo 102.1 Cost(11).
1. L’aggettivo “onorario” sta ad indicare che svolge le proprie funzioni in maniera non professionale, poiché di regola esercita la giurisdizione per un lasso di tempo determinato senza ricevere una retribuzione, ma solo un’indennità per l’attività svolta, sono prevalentemente Avvocati con determinati anni di esperienza oppure professori universitari ordinari.
2. Il CSM è organo di autogoverno con lo scopo di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, in particolare da quello esecutivo, secondo il principio di separazione dei poteri espresso nella Costituzione della Repubblica italiana. In particolare è un organo di rilievo costituzionale, e si fa riferimento ad esso nella Costituzione italiana agli articoli 104, 105, 106 e 107. Il Consiglio superiore della magistratura è composto da 27 membri e presieduto dal Presidente della Repubblica che vi partecipa di diritto. Altri membri di diritto sono il primo presidente e il procuratore generale della Corte suprema di cassazione. Gli altri 24 componenti sono eletti[9] per i 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti a tutte le componenti della magistratura (membri togati, 16) e per 1/3 dal Parlamento riunito in seduta comune tra i professori universitari in materie giuridiche e avvocati che esercitano la professione da almeno quindici anni (membri laici, 8).
3. è il giudizio di costituzionalità promosso, nel corso di un processo, da un giudice che chiede alla Corte di vagliare la legittimità costituzionale di una norma di legge di cui deve fare applicazione. Si differenzia dal Giudizio in via principale, che invece è il giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato avverso una legge regionale ovvero da una Regione avverso una legge dello Stato o di altra Regione.
4. è l’autorità giudiziaria che introduce un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale, sospendendo il processo davanti a sé pendente.
5. Art 106 Cost :<le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.
La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina anche elettiva di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.
Su designazione del Consiglio superiore di magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di Cassazione per meriti insigni professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano 15 anni di esercizio e siano iscritti negli Albi speciali per le giurisdizioni superiori>.
6. Supplenza prevista dall’art 105 dell’ordinamento giudiziario Regio Decreto n. 12/1941 cifr. Sent. 99/1964.
7. Sentenza di accoglimento manipolativa di tipo additivo: è una sentenza di accoglimento perché nelle sentenze di accoglimento la Corte Costituzionale, dopo aver compiuto una valutazione sulla questione di costituzionalità, la accoglie, dichiarando pertanto incostituzionale la legge in esame. Nelle sentenze di accoglimento la Corte dichiara l’incostituzionalità di una determinata interpretazione della legge e ne impone una conforme alla Costituzione; in quelle di rigetto invece quando dichiara la legge costituzionalmente legittima purché interpretata in un certo modo. È una sentenza c.d. manipolativa di accoglimento, perchè la Corte rivede (“manipola”) il contenuto di una legge, per evitare di dichiararla incostituzionale ed impedire così la formazione di un vuoto normativo nel sistema. É infine additiva perché aggiunge un termine, un dies a quo, dalla quale decorre la declaratoria di incostituzionalità.
8. Artt 111 Cost et 97.2 Cost.
9. LEGGE 11 marzo 1953, n. 87. Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale 12.
10. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
11. La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario [cfr. art. 108].
Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali [cfr. art. 25 c.1]. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia
-L’art 111.1 cost. Statuisce: <La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge>
PICCOLO PENSIERO RIGUARDO AL DECRETO RAVE-PARTY
Nella giornata del 31 ottobre, con il decreto legge 162/2022, il Consiglio dei Ministri ha introdotto nuove misure tra loro eterogenee, che spaziano dallo stop all’obbligo vaccinale per i medici all’ergastolo ostativo per finire ai Rave Party.
Questo ultimo punto ha suscitato parecchio clamore mediatico, dando adito al giustizialismo mediatico.
Il decreto aggiunge l’art 434-bis al c.p. che punisce “l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a 50, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
La pena oscilla tra i 3 e i 6 anni per chi promuove ed organizza( assieme ad una multa che può arrivare ai 10 mila euro) mentre la sanzione è diminuita per la sola partecipazione. Come possiamo ben notare, per quelli come me, amanti di una visione garantista et liberale del diritto, non è un buon inizio per IL Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Tale nuova fattispecie, infatti, si presta ad una infinità di interpretazioni. Se la sanzione scaturisce da una eventuale pericolosità dell’evento, quand’è e con quali parametri che un singolo partecipante, a differenza del promotore dell’evento, può realmente rendersi conto di star partecipando ad una iniziativa che potrebbe sfociare in un turbamento dell’ordine pubblico?
La norma, a fortiori, dispone la confisca del materiale utilizzato per la commissione del reato e, tramite una modifica del codice antimafia d.lgs. 159/2011, consente misure di prevenzione personali per gli indagati e l’utilizzo di intercettazioni.
Ancora una volta notiamo un abuso della decretazione di urgenza prevista ai sensi dell’art 77Cost., più che un urgenza e una necessità ci troviamo di fronte ad una norma di stato di polizia ed una norma politica che rappresenta a pieno il populismo penale nel quale siamo incastrati da decenni.
Prendiamo ad esempio il corteo del 10 novembre accaduto a Bologna, dove i manifestanti che protestano dietro ad un furgone che percorreva la città con musica a tutto volume , è poi sfociata in un atto violento nei confronti del Presidente Meloni e con un atto vandalico, punibile ai sensi dell’art 421 c.p, e art 639, nei confronti di un palazzo storico ora in affitto al supermercato Sapori e dintorni.
Scritto da Luigi Filippo Daniele.
La sentenza che hai richiamato dà occasione di esprimere qualche perplesso commento su una tralatizia – e discutibile – prassi da lunga data seguita dalla Corte costituzionale.
Questa sentenza si caratterizza infatti inter alia per la sua irretroattività, dal momento che la Corte costituzionale ha previsto il venire in efficacia della propria pronuncia dopo molti mesi dalla pronuncia: ciò, per evitare repentine anomalie nell’operato dell’ordine giudiziario, come comprensibilmente sarebbe avvenuto se dall’indomani molti magistrati fossero stati sollevati dal proprio ufficio.
Ciò ha natura straordinaria: infatti, le leggi che disciplinano il processo costituzionale sanciscono il principio in forza del quale ogni sentenza costituzionale è ipso iure retroattiva.
Siffatta scelta si giustifica in considerazione del tipo di vizio che affligge la legge condannata: l’annullabilità, dovuta alla difformità dal parametro costituzionale.
La pronuncia di annullamento, tanto nel diritto pubblico (exempli gratia, l’annullamento del provvedimento amministrativo della Pubblica amministrazione), quanto in quello privato (exemplum ut afferam, l’annullamento del contratto, del testamento, del matrimonio, eccezion fatta per gli effetti del matrimonio putativo), ha normalmente natura retroattiva: esistono modeste eccezioni puntualmente segnalate dalla legge (exemplum ut dicam, l’annullamento di un contratto di Società di capitali, purché già iscritto nel registro delle imprese), ma si tratta di casi eccezionali.
A ben vedere, l’art. 30 della L. 11 marzo 1953, n. 87, confluendo in tale alveo, stabilisce che “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Annullare una legge, dunque, significa rimuovere con pronuncia costitutiva l’atto la cui validità è censurata, con tutti i suoi effetti medio tempore prodotti, dal momento in cui fu posta in essere.
Anche nel panorama della giurisprudenza costituzionale nazionale, dunque, la regola è quella della retroattività.
La pronuncia da te ricordata, appartiene ad un – ormai non esile – genus di pronunce straordinarie: talora, infatti, il Collegio, avvertendo la necessità di evitare subitanee alterazioni della disciplina vigente, dispone autoritativamente che le proprie pronunce non abbiano efficacia retroattiva, ma che inizino ad esplicare efficacia giuridica dal dies a quo indicato in dispositivo. Ciò fa la Corte, dottamente richiamando i poteri di modulazione dell’efficacia intertemporale delle pronunce puntualmente riconosciuti alla Corte di Karlsruhe, a quella di Strasburgo o a quella di Lussemburgo.
In particolare, così avviene frequentemente in ambito tributario, nella materia dei servizi pubblici o nel contesto amministrativo, al fine di evitare cesure e discontinuità nell’applicazione della legge, o improvvisi e non pianficabili vuoti erariali. Tra le prime pronunce in tal senso, per esempio, il collegio negò efficacia retroattiva ad una sentenza che annullava una legge tributaria: più di recente dava forza irretroattiva al principio per cui siano trasmessi alla prole, salvo diverso accordo, i cognomi di entrambi i genitori.
A mio avviso, questa tralatizia prassi decisionale della Corte Costituzionale deve essere considerata illegittima: perché non prevista dalla legge. Ciò in quanto la Corte Costituzionale, sebbene sia un Collegio chiamato a conoscere della costituzionale legittimità delle Leggi, non è dispensata dalla loro osservanza, né autorizzata a derogarvi per motivi di opportunità politica: e tale affermazione è confermata dall’art. 117 della Costituzione repubblicana, onde il giudice è soggetto esclusivamente alla legge, perlomeno nella misura in cui la Corte costituzionale possa essere qualificata quale un giudice.
Una soluzione che consenta la modulazione degli effetti nel tempo della sentenza è ben comprensibile in ordinamenti, quali quello Tedesco, quello CEDU o quello Eurounionale, che espressamente la contemplano: non dovrebbe esserlo in contesti normativi nei quali, invece, questa facoltà non è riconosciuta per espressa scelta legislativa.
Ciò, a ben vedere, non comporta necessariamente il rischio di lesione dei beni della continuità e certezza dei rapporti giuridici, che la Consulta così si propone di presidiare: infatti, è configurabile quale più semplice e naturale rimedio l’intervento diretto del Legislatore, che ben può esprimere leggi retroattive nella maggior parte dei settori della vita pubblica, così da porre riparo alle più gravi cesure. In tal modo, la Corte potrà evitare l’inaccettabile paradosso di dover ordinare l’esecuzione di una legge che abbia già riconosciuto in costituzionale