TRA LEGGE PROVVEDIMENTO E RISERVA DI PROCEDIMENTO

TRA LEGGE PROVVEDIMENTO E RISERVA DI PROCEDIMENTO

Francesco Scarangella.

Scorti da lontano una quarantina di antichi mulini, le cui pale roteavano incessantemente al vento in guisa di braccia vigorose ed aitanti di giganti, il prode cavaliere Don ChisciotteDella Mancia – in preda al proprio bellicoso furore -esclamò: “Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più, smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, cominciare ad arricchirmi con le loro spoglie uccidendoli”.

Al che il suo umile scudiere Sancio Panza gli chiese, scettico e sconsolato: “Dove sono i giganti?. E l’intrepido guerriero così rispose: “Quelli che vedi laggiù, con quelle braccia così lunghe che taluno d’essi le ha quasi lunghe due leghe”.
L’audace cavaliere si scagliava allora furente alla carica contro di essi, in fiera e diseguale tenzone, protraendo nel vento la propria lancia acuminata e gridando follemente “Non fuggite, codarde e vili creature, chè uno solo è il cavaliere che viene con voi a battaglia … potreste agitare più braccia del gigante Briareo, ché me l’avete pur da pagare”: e non sapeva – o stolto! – che quelli che andava aggredendo altro non erano che dei macchinari destinati alla molatura del grano. Scontratosi rovinosamente contro una delle pale ed impigliatosi nel suo meccanismo rotante, il nobile guerriero finiva gambe all’aria, insieme al suo splendente usbergo ed alla sua superba cavalcatura.

Sancio, che aveva indarno tentato di dissuaderlo dalla temeraria impresa, non poteva che accorrere, aiutandolo a rimettersi in piedi ed a raccogliere i propri effetti personali sparpagliati qua e là. Mentre il fidato amico lo soccorreva, il Chisciotte così si consolava: “Taci, amico Sancio; le cose della guerra sono più delle altre soggette a continuo cambiamento; massimamente perché stimo, e così senza dubbio dev’essere, che il savio Frestone, il quale mi svaligiò la stanza e portò via i libri, abbia mutati questi giganti in mulini per togliermi la gloria di restar vincitore”.

Il nobile cavaliere, sconsolato dopo essersi accorto del proprio grossolano errore, si trova costretto a constatare una realtà molto diversa da quella apparente: quelli che gli parevano dei temibili giganti altri non erano, in realtà, che degli inoffensivi mulini a vento e la sua eroica cavalcata era stata, dunque, ingloriosamente interrotta da una pesante pala eolica.

Il senso di straniamento e di disillusione patito dal nobilissimo uomo d’arme è, in realtà, lo stesso che hanno suscitato presso la giurisprudenza costituzionale le tanto politicamente ed economicamente sensibili leggi provvedimento.

Definiamo leggi provvedimento gli atti che – seppur approvati con il comune procedimento legislativo ed aventi natura giuridica di legge – sono in concreto destinati alla disciplina di un numerus ristretto e ben determinato di fattispecie di fatto: non sono, dunque, fonti del diritto generali ed astratte, ma atti decisionali concreti, indirizzati contro soggetti determinati o determinabili e destinati all’applicazione entro uno spatium modestissimo di vicende e circostanze pratiche.

In altre parole, le leggi provvedimento possono essere definite come atti formalmente legislativi, ma sostanzialmente amministrativi e provvedimentali: ma quali le conseguenze di chiamare falsis nominibus legge l’atto nel quale si intende in realtà infondere il contenuto concreto di un provvedimento amministrativo? E perché ricorrere al mezzo, apparentemente più solenne della legge, anziché a quello più banale, semplice e multiforme del provvedimento?

I vantaggi, all’atto pratico, sono in realtà molti, e di non poco conto.
Primitus, lo strumento legislativo è una fonte del diritto i cui mezzi di sindacato sono ben più limitati rispetto ai provvedimenti emanati dall’amministrazione: sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, la legge può, infatti, essere censurata esclusivamente dalla Corte Costituzionale, nella sua funzione di giudice delle Leggi.
Inoltre, nella sede del giudizio di legittimità costituzionale sono precluse le censure sulla motivazione della provvedimento e sul rapporto tra amministrazione ed amministrato nel suo complesso delinearsi: immotivata ed espressione di una volontè generale di natura squisitamente politica, la legge non potrà veder aggrediti i propri vizi motivazionali, ma solo le proprie lacune formali.

Dunque, al lordo della censura di eventuali vizi del procedimento legislativo o di antinomie normative tra la legge e le fonti del diritto ad essa subordinate, ben poche saranno le armi a disposizione della Consulta: e financo il giudizio di ragionevolezza in astratto, come esercitato dalla Corte Costituzionale rimane meno pervasivo del sindacato proprio del giudice amministrativo, imperniato intorno alla figura dell’eccesso di potere ed alle sue svariate figure sintomatiche, oltre che fondato sul costante accesso a motivazioni ed atti procedimentali preparatori nel contesto di un processo dotato di istruttoria e contraddittorio tra le parti.

Infine, del tutto carenti saranno le garanzie procedimentali assicurate dalla legge n. 241/1990( legge sul processo amministrativo) e dalla legislazione speciale: dalla partecipazione al procedimento amministrativo, al diritto al contraddittorio pre-provvedimentale tramite il deposito di memorie e preavviso di rigetto, all’accesso agli atti ed alle motivazioni, et cetera.

Eppure, come autorevolmente rilevato dal GIANNINI, proprio il procedimento amministrativo è la sede d’elezione del bilanciamento tra gli interessi e della partecipazione dei soggetti interessati: verbis nostris, il procedimento è la sede di elezione del dialogo reciproco tra amministrazione pubblica ed amministrato, oltre che del bilanciamento tra opposti interessi, pubblici o privati che siano.
Negare il procedimento, dietro al facile quanto falso velo di Maya della democraticità dello strumento legale, significa negare proditoriamente tali garanzie procedimentali agli amministrati.

E, dunque, il destinatario della legge provvedimento si trova in mano una spada dilaniata in due parti e ben poco inservibile: proprio come il nostro Don Chisciotte, che fu costretto a procurarsi un ramo d’albero per rimediare alla propria inopia dopo aver distrutto il proprio equipaggiamento bellico nella folle tenzone contro il mulino.

Ferma la generale legittimità – riconosciuta dalla stessa Consulta – del ricorso alla Legge provvedimento da parte di Stato e Regioni, vi è un caso nel quale il ricorso a questo strumento viene censurato: la legge provvedimento regionale disposta in deroga alla normativa nazionale introducente un procedimento amministrativo ad hoc. Ciò in quanto, avendo il Legislatore nazionale previsto a priori l’impiego di moduli procedimentali specifici finalizzati al perfezionamento dei provvedimenti amministrativi in questione, alle Regioni non è consentito ricorrere ad itinera procedimentali alternativi.

In effetti, già nel 2012 la Corte Costituzionale aveva avuto modo di prendere la parola in proposito, con riferimento alla LR sarda 29.05.2007, n. 2, la quale disponeva intorno ad altrettanto insidiosi – ancorché meno celebri – mulini a vento.
Ea tempestate, il Collegio aveva evidenziato che:

«Il legislatore statale […] attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione».

Già, dunque, la Corte faceva emergere come la puntuale sequela delle norme procedimentali, in ossequio alle “competenze statali, regionali e provinciali” fosse l’unico mezzo tramite il quale gli Enti pubblici coinvolti avrebbero potuto perseguire “una modalità di equilibrio rispettosa delle competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione e nella realizzazione delle fonti energetiche rinnovabili”: una legalità procedimentale intesa, dunque, quale strumento di leale collaborazione e dialogo tra Amministrazioni pubbliche concorrentemente competenti.

In una successiva e celeberrima vertenza la Consulta si è spinta ad evidenziare il valore garantistico del principio di legalità procedimentale, anche quale mezzo di garanzia degli interessati privati, con sent. n. 69/2018.
La pronuncia ebbe origine dalla LR veneta 30.12.2016, n. 30.
Materia del contendere era stata la scelta del Legislatore Regionale Veneto di introdurre ex lege un apparato di distanze legali tra i manufatti ospitanti gli impianti di produzione elettrica a biomasse e gli abitati forfettariamente predeterminate in misura fissa: contravvenendo alla legge “quadro” nazionale, la quale prevedeva invece il ricorso a procedimenti autorizzativi ad hoc, segnatamente finalizzati alla determinazione dei più opportuni distanziamenti tramite l’intervento attivo degli amministrati e la valutazione delle caratteristiche proprie di ciascun contesto geografico.
In proposito, il Collegio rilevava che :

“I regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile (…) rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale”.

Ciò in quanto è in tale sede soltanto che si può aristotelicamente individuare il miglior bilanciamento con la polimorfa pluralità di interessi contrapposti alla pubblica necessità di approvigionamento energetico e diffusione sul territorio degli impianti: tra questi indica la Corte a titolo esemplificativo “esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell’assetto urbanistico del territorio”.
La presa di posizione della Consulta è, dunque, perentoria ed esplicita: il Collegio afferma, infatti, che

“la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo, (…) attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti (…)”.

Pertanto,

“è nella sede procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela”.

Tutto ciò, in quanto è

“la struttura del procedimento amministrativo [che] rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”.

In aggiunta a ciò, la partecipazione istruttoria dei cittadini interessati ed il loro supporto nella ricognizione degli interessi coinvolti dal provvedimento perfezionando avrebbero, nella ricostruzione operata dal Giudice delle leggi, un valore imprescindibile: sicché risulterebbe solo “In tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost”.

In effetti, l’apporto dei cittadini alle procedure decisionali può fornire già in sede istruttoria preziosi ammonimenti intorno agli interessi privati i quali andrebbero – altrimenti – irreparabilmente dispersi: somministrando alla PA la propria scienza intorno ai fatti oggetto del deliberare e svolgendo una previa ricognizione delle proprie ragioni, gli amministrati consentono un più razionale, agevole e satisfattivo esercizio della funzione pubblica, oltre a minimizzare il rischio di eventuali liti future. Sicché, lo strumento del procedimento viene al contempo a soddisfare le esigenze di legalità procedimentale e sostanziale: afferma, infatti, la Consulta che

“In definitiva viene in tal modo garantito il rispetto del principio di legalità − anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost. − in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi è la possibilità di sottoporre le scelte compiute e le relative modalità di adozione al vaglio giurisdizionale”.

 

Riverso a terra si trova, dunque, un cavaliere che si duole della recente caduta, resosi conto del proprio errore nel confondere l’identità del proprio avversario: allo stesso modo di un privato che – trovandosi interessato da una legge provvedimento – non riesca ad intenderne l’esatta qualifica.

La legge provvedimento è, in effetti, un vero e proprio Giano Bifronte dotato di una natura giuridica ancipite, contro la quale l’ordinamento costituzionale non prevede però alcun baluardo a difesa del cittadino: eccezion fatta per quanto riguarda il diritto regionale, dove il ricorso alla legge provvedimento deve ritenersi escluso allorché il legislatore statale abbia dettato delle norme procedimentali destinate a disciplinare gli itinera procedimentali amministrativi, rimanendo in caso contrario legittimo.

Dall’analisi della prefata giurisprudenza si possono trarre numerose conclusioni: ribadito in via sistematica l’obbligo gravante sulle Regioni ordinarie di conformarsi ai principi generali dettati dalla legge quadro dello Stato in relazione alle materie di cui al comma 3 dell’art. 117 cost. (e riconosciuto come tali principi siano applicabili anche alle Regioni autonome quali la Sardegna nella parte in cui esprimano principi giuridici di matrice eurounionale) la Corte ha avuto modo di evidenziare il cruciale rilievo delle norme procedimentali nel ripartire le competenze amministrative degli Enti, nel garantire il rispetto dei diritti partecipativi degli interessati e nel favorire un ottimale bilanciamento tra diritti ed interessi pubblicamente e privatamente rilevanti, censurando la tendenza delle Regioni a coniare ex auctoritate leggi provvedimento che, nel nome dell’efficienza, incrinavano l’apparato di garanzie insito nel procedimento amministrativo.

 



NOTE e BIBLIOGRAFIA 

Le citazioni iniziali sono state estrapolate passim da:

Michele Cervantes, Le avventure di Don Chisciotte della Mancia e di Sancio Panza suo scudiere. Romanzo. I e II Parte riunite, Edizioni Aurora, Milano, 1934.

 

2 commenti su “TRA LEGGE PROVVEDIMENTO E RISERVA DI PROCEDIMENTO”

  1. Articolo ben scritto! Interessante la metafora del don Chisciotte confuso e disorientato per raffigurare la difficoltá della corte costituzionale nel risolvere i dilemmi sorti attorno alla disciplina delle leggi provvedimento.

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  2. Grazie mille per queste bellissime parole!

    Ho scelto di insistere su questo parallelismo poiché a mio avviso esprime bene la duplice natura delle leggi provvedimento che, divise tra funzione legislativa ed amministrativa, sembrano quasi mostrarsi munite di due aspetti diversi: da questo punto di vista, le incertezze della Corte non sono poi molto lontane dalla “schizofrenia” del povero Don Chisciotte.

    Vedo solo ora il commento ma sono molto contento di ricevere il Tuo feedback.

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