Di Roberto De Nart.
È Giornalista, nel 2009 ha fondato il quotidiano online Bellunopress di cui è direttore ed editore. E’ direttore di “Filò” periodico che si occupa di turismo, “Atelier”, rivista specializzata di architettura, design e arte del Nordest, e “Cortina Magazine” storica rivista della Perla delle Dolomiti. Ha collaborato con i quotidiani Il Gazzettino, il Corriere delle Alpi e altre testate. Dal 2007 al 2010 è stato direttore del tabloid La Pagina, mensile della Valbelluna. Ha pubblicato una decina di libri, in particolare su casi di femminicidi del secolo scorso. I libri sono reperibili nelle librerie bellunesi, nelle edicole, su www.amazon.it.
Sono al mio sesto libro che tratta dell’omicidio di donne avvenuti il secolo scorso. Sei donne, sei storie diverse che si potrebbero suddividere in tre gruppi di due. Per Marta Kusch detta “La Contessa” uccisa nel 1945 a Pedavena e per Linda Cimetta, la titolare del bar Vittoria di Belluno , uccisa nel 1947 a Venezia si è trattato di omicidio a scopo di rapina. Mentre l’uccisione di Silvia Da Pont, la giovane di Cesiomaggiore, fatta morire a Busto Arsizio nel 1951 e probabilmente anche il caso irrisolto della professoressa Lea Luzzatto rinvenuta priva di vita a Belluno nel 1946, sono delitti a sfondo sessuale, conseguenza di insane morbosità.
I delitti dei due ultimi libri, invece, quello di Emma Canton avvenuto a S. Antonio Tortal nel 1933 e quello di Gemma Pagani successo a Pontevigodarzere nel 1926 rientrano in quelli che oggi vengono definiti femminicidi, dove la componente di supremazia dell’uomo sulla donna diventa fatale. Entrambe le vittime, Emma Canton e Gemma Pagani, sono state ingannate dall’uomo che amavano e di cui avevano fiducia, come purtroppo succede anche oggi. C’è da chiedersi come sia potuto accadere e perché accada con modalità perlopiù analoghe anche oggi.
Perché si sono fatte ammazzare, benché avessero intuito che l’uomo che frequentavano non era il principe azzurro?
Nell’ultimo libro “Assassinio sulla riva destra del Brenta” , c’è un passaggio in cui l’omicida Flaminio Margonari dice alla sua promessa sposa Gemma Pagani “andiamo a sposarci a Pistoia, dove non ci conosce nessuno”. Sembra quindi che i due giochino a carte scoperte, ognuno sapeva il passato dell’altro, lui un truffatore ricercato dalla polizia, lei un trascorso da mondana. Eppure lei lo seguirà fino alla morte.
Lo stesso accade per Emma Canton: cosa doveva ancora succedere perché lei si staccasse da lui? L’aveva lasciata per sposare un’altra, ma continuava ad avere rapporti intimi con lei, che rimase incinta. Eppure anche Emma lo segue fino alla morte. La risposta, di quanto successo e succede, sotto il profilo scientifico e psicologico, la dà la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, nel suo monologo andato in scena anche al Teatro Comunale di Belluno, dove spiega il viaggio nella manipolazione affettiva. Ebbene, Emma Canton, la 22enne di S. Antonio Tortal, evidetemente era ancora innamorata del suo ex Abele De Barba. Lo stesso Gemma Pagani, la 48enne di Parma uccisa a Pontevigodarzere, che non era certo una ragazzina sprovveduta, eppure anche lei segue ciecamente Filippo Margonari, un 34enne avventuriero latitante, di nascita bellunese, che aveva promesso di sposarla. E allora perché, pur sapendo entrambe chi era l’uomo che frequentavano, sono cadute in una trappola mortale?
La criminologa Bruzzone, spiega perfettamente tali circostanze con il “dettaglio chimico”, ossia quello che succede quando la vittima è coinvolta in quello stato di innamoramento del suo carnefice.
“L’organismo cambia, cambiano i livelli di alcuni ormoni. In particolare l’ossitocina, cambia il livello di produzione della dopamina, e cambia il livello di produzione femminile di tiramina. Questo trio è in grado di ridurre la capacità di intendere di volere in ciascuno di noi. Diciamo che è una sorta di intossicazione endogena. Ma nella prima fase, quella proprio passionale ribollente esplosiva, se qualcuno è in grado di continuare a farti produrre quelle sostanze alternando momenti di luna di miele a momenti terribili, in quella fase lì ci si rimane molto più a lungo. Quindi ti mantengono sul livello di dipendenza terribile, ma non è solo una dipendenza psichica è fisica. Perché stai malissimo se non vedi quella persona, anche se ti tratta malissimo. Le donne che non denunciano rimangono in quelle storie. Non sono cretine come molti pensano, ma l’idea di non di non vedere quella persona, per quanto riconoscano l’insano rapporto le fa stare malissimo. Le fa piombare nelle medesime sensazioni che ha un astinente da eroina. Per uscirne si deve interrompere qualunque tipo di contatto. Non devi neanche parlare con gente che ti parla di lui o di lei. La tua mente deve liberarsi auto pulirsi disintossicarsi. Se questo viene fatto per un periodo sufficientemente ampio questi livelli scendono e piano piano l’angoscia torna a livelli diciamo gestibili. Se questo non avviene continua questo giochino. Se quei livelli non scendono il soggetto sta malissimo e quindi cercherà un pretesto per riagganciare la situazione. La persona meravigliosa, che la vittima pensa di aver incontrato non è mai esistita. Il grosso lavoro che facciamo – conclude Bruzzone – all’inizio con le vittime, è proprio quello di portarle a alla consapevolezza che quella persona che hanno in mente di cui si sono innamorata non esiste”.