Di Emanuele Pestrichella.
Di recente, un gruppo di partiti politici (Possibile, Radicali, Socialisti, Più Europa e Rifondazione Comunista) ha proposto la riduzione della disciplina, prevista dalla legislazione vigente, che regolamenta l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione.
In base al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con legge del 1° dicembre 2018, n. 132, l’esecutivo di allora, capitanato dalla coalizione giallo-verde, si è mosso nella direzione di dilatare i tempi per l’acquisizione della cittadinanza per i residenti extracomunitari, dai 24 mesi ai 48 mesi. Ad oggi, i criteri di ottenimento della cittadinanza sono statuiti e regolamentati dalla legislazione italiana rispettivamente alla legge 5 febbraio 1992, n. 91 attraverso cui trova disciplina il criterio maggiormente utilizzato dallo stato italiano per la concessione del titolo giuridico, e cioè lo “Ius Sanguinis”.
Sostanzialmente consiste nel consegnare la cittadinanza a chi è italiano e che nasce da uno o da tutti e due i genitori italiani nel territorio dello Stato o in uno Stato Straniero. L’altro metodo per l’acquisizione del titolo, che ha trovato animoso dibattimento nelle più dissimili sedi politiche, è l’acquisto della cittadinanza secondo il criterio dello “Ius Soli” ovvero l’acquisto della cittadinanza per il fatto di avere si i genitori stranieri ma di essere nati nel suolo dello stato italiano. Tutt’ora se ne parla, mentre nel dibattito si è introdotto, come elemento aggiuntivo di discussione, un nuovo metodo d’acquisto: lo “Ius Scholae” che dal punto di vista dello scrivente andrebbe a concedere insensatamente il titolo solo grazie al completamento di un ciclo di studi quinquennale.
La domanda resta il significato che ha un provvedimento del genere per il guadagno del titolo giuridico che, dal punto di vista statale, è una conquista sociale. Riconoscere la cittadinanza a dei ragazzini che forse non hanno ancora consapevolizzato le ragioni, i diritti e i doveri che tale titolo porta a compiere è un fatto sicuramente non triviale o da mettere in secondo piano. Essere cittadino di uno stato vuol dire assumersi un importante impegno pubblico e una responsabilità nei confronti della contribuzione e del progresso d’insieme della cosa pubblica; non solo, essere cittadino vuol dire acquisire la facoltà giuridica di far parte dell’elettorato attivo e quindi di riconoscere la possibilità di svolgere l’esercizio del voto politico.
Per tornare al referendum, risulta importante che questi partiti abbiano promosso la riduzione dei tempi di residenza legale (dai 10 ai 5 anni si parla) per i cittadini extracomunitari che, per svariate ragioni, non possono essere cittadini perché la legislazione vigente è estremamente rigorosa nella concessione del titolo. Molti nostri coetanei lavorano, operano, agiscono nell’interesse e nella crescita del paese e migliorano il nostro PIL portando maggiore afflusso e più drenaggio di ricchezza e di capitali all’erario dello stato. Non possiamo lasciare indietro nessuno.