Marco Christian Santonocito, autore del libro “Il Tempo tra Oriente e Occidente“, pubblicato da Mimesis nel 2022.
«Il problema che muove questa ricerca è ontologico, la domanda alla quale tenta di rispondere è:
“che cos’è l’essere”?
Si deve a Martin Heidegger se la domanda fondamentale della filosofia ha riacquistato il suo senso originario. Non è più possibile scansarla o differirla.
Una domanda antica che attende tuttavia ancora una risposta plausibile? Davvero non possiamo ritenerci soddisfatti delle dottrine che dall’antica Grecia fino ai nostri giorni fiorirono e continuano a proporsi? Credo proprio che le cose stiano altrimenti. E tuttavia, pur non potendo dimenticare e mettere da parte le maggiori conquiste che il passato ci tramanda, non possiamo ritenerci, a oggi, in possesso della verità dell’Essere, sentiamo che qualcosa ancora manca. D’altronde, come è ovvio, sarebbe illusorio e ingenuo pretendere di iniziare un’impresa di tale portata e rilevanza senza alcun presupposto. Un inizio assoluto, dal nostro punto di vista umano e finito, è escluso. Heidegger lo ha esplicitato in maniera definitiva.
Ma allora da dove prendiamo l’abbrivio? Da non altro che da ciò che conosciamo, o crediamo di conoscere, innanzitutto e meglio: dai fenomeni( τά φαινόμενα .
Dopo Heidegger il pensiero occidentale sembra essersi sclerotizzato e come ritirato impaurito di fronte all’enormità del compito a esso assegnato della comprensione dell’Essere. Il post-modernismo, per usare un’etichetta generale ma comoda per i nostri fini, ha dichiarato bancarotta in tal senso. Nessuno potrebbe sinceramente dichiararsi soddisfatto dei risultati dell’ermeneutica di Gadamer o di Ricoeur in campo ontologico, seppur hanno da dire o vogliono dire qualcosa di fondamentale a proposito. Derrida pare aver messo definitivamente da parte la nostra capacità di attingere l’essere.
Soltanto Severino è riuscito ad avanzare una proposta ontologica radicale, potente e autorevole, in grado di competere e porsi allo stesso livello di quella heideggeriana. Vedremo che si tratta di una visione antitetica rispetto a quella che suggerisco, in misura maggiore di quanto non lo sia nei confronti di quella heideggeriana. Lo si noterà pienamente allorché offrirò una interpretazione dell’essere di Parmenide in un senso temporale e dunque opposto al modo tradizionale e classico di intenderlo, modo che è stato seguito, come si sa, senza variazioni dallo stesso Severino. Anche le ontologie più recenti, come quelle di Nancy e Badiou, divergono da quella che esporrò in questo testo, pur concordando in alcuni punti non secondari. L’ontologia di Deleuze, autentico erede di Nietzsche, merita un discorso a parte.
Il disegno teoretico che delineo in questo libro intende proporsi allora quale nuova via all’Essere o, più esattamente, come avanzamento e parziale correzione di quanto ci precede.
Sono due, in particolare, i nuclei fondanti della presente ricerca:
1) la scoperta e rivelazione che la dimensione temporale, profonda ed essenziale del disvelamento in cui ci troviamo non è realmente temporale ma spaziale e istantanea, consistente in un Istante (spaziale) che non dura;
2) l’essere riusciti per questa via ad attingere compiutamente l’Essere del fenomeno, la sua natura realmente temporale e conservatrice. In effetti, solo il passaggio attraverso lo svelamento della vera struttura del tempo fenomenico, può consentire una comprensione illuminata della reale natura del Tempo ontologico. Una comprensione che si rivelerà del tutto analoga a quella buddhista della impermanenza e interdipendenza di tutte le cose e di tutti gli enti, definita Coproduzione condizionata o Genesi interdipendente (Pratītyasamutpāda). Proprio in questa scoperta risiede, secondo la prospettiva che si propone, la necessità di continuare a percorrere il sentiero heideggeriano, non certo per andare oltre Heidegger ma per proseguire con Heidegger. La prima fonte di equivoci ci è sembrata la inadeguata ed erronea concezione del tempo del mondo apparente. Attribuire al fenomeno movimento e temporalità rende ardua, se non impossibile, la comprensione dell’Essere e della sua reale natura temporale. Se il fenomeno è considerato tempo che scorre inesorabile e che annichilisce i suoi contenuti, l’Essere (o Assoluto o Dio) viene interpretato, di conseguenza e quasi per necessità, come eterno presente, assenza di tempo o atemporalità, in ogni caso come immobilità e immutabilità.
Come si capirà, il rapporto è esattamente inverso: è il fenomeno a essere immobile e immutabile (senza peraltro che ciò implichi che perduri e permanga tale, anzi non dura affatto, essendo Spazio e non Tempo), mentre l’Essere è il Tempo reale, dunque movimento e trasformazione ma in un senso incommensurabile col tempo immaginato nel fenomeno, distruttore e creatore.
L’Essere costituisce dunque l’oggetto di questa ricerca, il fenomeno il suo imprescindibile punto di partenza. Aristotele sosteneva la necessità di procedere, in ogni indagine che si intraprendano seriamente, dal più noto e chiaro per noi al più chiaro e noto per natura. Il fenomeno, ossia ciò che percepiamo, è certamente il più conosciuto ed è da qui che deve partire la nostra indagine. Non è tuttavia completamente evidente: che esista qualcosa al di fuori del fenomeno, che i fenomeni stessi siano l’essere o rivelino l’essere, non è evidente di per sé.
Il punto di riferimento di questa ricerca è il metodo fenomenologico, introdotto nella filosofia occidentale, con tutto il rigore desiderabile, da Husserl e portato successivamente a un livello ontologico da Heidegger. Assumiamo pertanto come evidente e certa, nella sfera del fenomeno, la correlazione fondamentale husserliana soggetto-oggetto. Da qui noi faremo un passo oltre l’intera tradizione filosofica, non soltanto fenomenologica: il tempo essenziale del fenomeno, al di là del senso che in esso appare – che è sempre un senso che scorre nel tempo – lo abbiamo riconosciuto nell’istante o Presente puro, in un tempo privo di passato e futuro, che è, lo vedremo, Spazio più che tempo, Istante e non durata. Dopo aver analizzato la struttura essenziale del mondo fenomenico, il problema che ci impegnerà sarà capire se oltre le apparenze fenomeni che ci sia l’essere o se tutto l’esistente non si riduca alla manifestazione istantanea. Riusciremo a mostrare e, credo, a dimostrare che il fenomeno non è tutto ciò che esiste e che il disvelamento, in cui consiste il fenomeno, deve presupporre una causa ontologica, non fenomenologica. Il nichilismo è pertanto escluso. E il nichilismo si identifica con la convinzione che tutto l’essere esistente non sia altro che vacua e fuggevole apparizione.
Tutto ciò che rientra nelle apparenze di questo mondo del fenomeno, essendo di natura essenzialmente istantanea e, quindi, esente dal tempo reale, non potrebbe affatto esercitare alcuna forma di causalità: il fenomeno è inerte, improduttivo, statico, proprio perché non è temporale. Il tempo che percepiamo normalmente è una pura illusione e questo tempo apparente è per essenza Presente o Istante puro che non dura, privo di passato e futuro. Nel mondo fenomenico, al di là di quanto sappiamo o crediamo di sapere ingenuamente, il passato non è andato distrutto, il futuro non è ancora da venire, perché nel nostro mondo tutto è presente e istantaneo. Da qui deriva la convinzione radicata e quasi inestirpabile che l’essere debba coincidere con la presenza, con il presente che non passa e che non diviene. Il concetto di Eternità, intesa come eterna presenza, è una conseguenza inevitabile della percezione, per lo più irriflessa, che l’essenza del nostro mondo è il Presente puro. L’errore fatale, in grado di compromettere alla radice la comprensione fenomenologica e ontologica, sta nel non rendersi conto che, pur essendo il Presente il tempo essenziale del fenomeno, esso tuttavia non dura affatto. Insomma, si mescolano caratteri temporali diversi, pur appartenenti al fenomeno: da una parte,il tempo manifesto che percepiamo ognora, che scorre e che passa annichilendo ciò che vi transita, dall’altra, il tempo essenziale della manifestazione, che è il Presente puro, Spazio dunque e non tempo.
Il risultato di questa sovrapposizione e combinazione è il concetto, del tutto irreale, di un presente che resta tale per tutto il tempo, il quale – così si pensa – scorre e, tuttavia, non trapassa nel passato. Né segue che le due forme di temporalità che hanno dominato la storia della filosofia, il tempo che passa immanente, e l’eterno presente trascendente, sono soltanto abbagli che nascondono l’unico vero tempo del fenomeno: il Presente puro, che è Spazio istantaneo.
Capiremo che l’Essere è invece il Tempo pieno, esente dallo Spazio istantaneo e non durevole. Esso è ricco delle tre dimensioni usuali, che sono ben diverse però, e diversamente articolate, da quelle che conosciamo nei mondi fenomenici. L’Istante essenziale del fenomeno è Spazio, non Tempo. L’Essere è però fuori (in un senso del tutto peculiare) del fenomeno e dunque fuori dello Spazio.
Questa assenza di vuoto comporta l’Identità, nella Differenza, delle tre dimensioni del tempo, che sono invece separate e distinte nel nostro mondo apparente; questa identità coincide con il Divenire ontologico delle Formazioni, che è Tempo che non passa.
Al di fuori dello Spazio essenziale della manifestazione, dovrà trovarsi, lo dimostreremo, anche la dualità di soggetto percipiente e oggetto percepito che caratterizza i mondi svelati, ma in una condizione di perfetta e non spaziale unità, che non vuol dire assoluta uniformità e omogeneità: tutto si conserva nell’Essere-Tempo, una volta che si sia espunto il Vuoto spaziale dal fenomeno. Ma, per la verità, il processo reale è inverso: è il fenomeno che si origina dall’Essere.
L’assenza di spazialità fa sì che l’Essere, fonte e origine di tutto il fenomeno, contenga – in una condizione certamente diversa e incommensurabile – tutto ciò che percepiamo nel nostro mondo svelato, l’intero e molteplice senso svelato nel mondo manifesto.
Innanzitutto, la differenza fra soggetto cosciente e l’oggetto conosciuto e, inoltre, il triplice tempo composto da passato presente e futuro, che non contempla alcuna distruzione o sparizione di alcunché, contrariamente alle evidenze fenomeniche. Nel Tempo reale, nulla va perduto e nulla viene acquisito, tutto si conserva nella trasformazione incessante dell’Essere-Tempo. Soltanto nello Spazio essenziale del fenomeno si dà l’apparenza del tempo che passa e che annichilisce chiunque e qualsiasi cosa vi transiti.
All’origine del senso apparente si muove allora il Senso reale dell’Essere, che descriveremo come dinamica ininterrotta e diveniente delle Formazioni ontologiche. Dedicherò ampio spazio allo studio del fenomeno, e dello Spazio che ne è l’essenza, quale Formazione sui generis co-prodotta dall’Essere-Tempo. La sua peculiarità sta nel suo essere spaziale e non temporale. Capiremo poi che è uno Spazio duplice, avente una struttura logico-matematica(Spazio infinito dei mondi ideali informali) e geometrica (Spazio finito dei nostri usuali mondi formali). Troveremo inoltre importanti affinità con le cosiddette Dottrine non scritte di Platone.
L’esistenza umana si situa all’intersezione dell’Essere e del Fenomeno ed è suo compito prendersi cura, ovvero conoscere, questo incidente dell’Essere col Nulla spaziale, senza pretendere di annullare lo Spazio apparente, di estirparlo dal fenomeno che siamo e, d’altra parte, senza abbandonarsi ciecamente al fenomeno e alle sue incongruenze, alla stregua degli scettici antichi o delle filosofie post-moderne.
In questa sede non potremo peraltro occuparci in modo esauriente della questione fondamentale dell’etica, non affronteremo direttamente, giungendo fino alle estreme conseguenze (ontologiche), il tema del volere, della libertà, della possibilità o necessità delle nostre scelte e, prima ancora, del linguaggio. Vengono tuttavia gettate le basi ontologiche indispensabili per una consapevole trattazione di questi temi cruciali, incluso quello religioso. Tutto ciò rimane qui ancora implicito, non però assente. Si tratterà, in seguito, di esplicitare quanto emerge già dalla presente indagine.»