Cella 304 è un toccante diario di prigionia, scritto da Mauro Guerretta nel proprio periodo di detenzione presso le Case Circondariali di Belluno e di Udine; è un racconto icastico, duro e disincantato, che trasporta con intensità e pathos il lettore all’interno di una realtà – quella carceraria – che viene spesso ignorata dal sentire comune; è uno scritto che evidenzia croniche criticità del sistema penitenziario, tanto con riferimento al quotidiano trattamento del detenuto, quanto con riguardo alla sua incapacità di rieducare e riabilitare il reo.
Tutta la narrazione si incentra intorno al percorso di Mauro – un uomo dalle molte fragilità fisiche ed afflitto da svariate patologie – che in un lunedì mattina qualsiasi – tradotto in carcere – si ritrova costretto a vivere in condizioni di dilaganti degrado, disumanità ed indifferenza.
Sin dalle prime ore, il carcere si presenta come un ambiente degradato, sordido ed oppressivo: celle sovraffollate, sporcizia dovunque, effetti personali trattati come rifiuti e trasportati in sacchi della spazzatura; ambienti negletti; muffa, umidità ed acqua che dilagano nelle celle; odori e suoni sgradevoli in tutti i contesti.
Dalle pagine del diario traspare una quotidianità carceraria densa di litigi, di risse e di rivolte. Dilagante è traffico degli oggetti vietati – ivi inclusi quelli contundenti – nonostante le periodiche ispezioni effettuate dalla Polizia Penitenziaria.
In un siffatto ambiente, violenza, degrado e disumanità divengono la norma.
Il lettore si sente trasportato – attraverso le vivide ed angoscianti testimonianze della vita dietro le sbarre – tra il freddo gelido della doccia e l’opprimente fragore delle sbarre che si chiudono, con il loro cigolio metallico che cambia e segna la vita.
Uno dei temi di maggior rilievo è quello rappresentato dalla lacunosità delle cure mediche riservate al detenuto. Pur necessitando di venti (sic!) pastiglie pro die, Mauro viene seguito solo saltuariamente dagli impreparati apparati medici interni al carcere: alle difficoltà di accesso alle cure patite dal cittadino comune, si associa la condizione di privazione della libertà personale, che porta medici ed infermieri ad interpretare con scetticismo, sospetto e superficialità le richieste assistenziali dei detenuti, spesso derubricandole a meri tentativi di evasione. Così Mauro – accusato un improvviso malore – perde i sensi e viene soccorso solo grazie al fortuito rientro in cella di uno dei suoi compagni di prigionia.
Grave peso emotivo è ascritto all’improvvisa ed immotivata scelta della Amministrazione penitenziaria di trasferire Mauro da Belluno ad Udine: il trasferimento avviene repentinamente e senza alcun preavviso né per Mauro stesso, né per la sua famiglia.
Malato e fragile, Mauro viene trasportato a bordo di un anonimo furgoncino in manette, nonostante la propria evidente inoffensività: umiliante e brutale è, del pari, l’impatto con lo stabilimento di destinazione.
Altro tema “caldo” del diario è quello della disperazione e del suicidio: la rieducazione, dietro le sbarre, di fatto non esiste; il sistema penitenziario, con la sua impronta retrograda e vendicativa, può fattualmente solo aggravare emarginazione, disagio e povertà; le dipendenze sono dilaganti; la recidiva è sistematica e non manca chi – ricaduto nel proprio delitto – ricompaia nello stesso carcere di prima a distanza di pochi mesi.
“Il carcere” scrive Mauro “non riabilita, ma peggiora le condizioni fisiche e mentali dei detenuti, spingendo molti a ricadere nella delinquenza”. Ed aggiunge: “il carcere dovrebbe essere riabilitativo, ma questo è un carcere punitivo, non ti insegnano a come poter affrontare la vita dopo essere usciti”.
Dalle pagine di questo libello emerge una visione cupa, pessimista e sconsolata del sistema penitenziario italiano, cieco all’umanità dei detenuti ed incapace di rieducarli. Un sistema sostanzialmente indifferente alle miserie dei reclusi, come, del pari, disinteressato al loro riscatto. Un sistema negligente ed insensibile, esclusivamente dedito al mantenimento dell’ordine interno.
Un surrogato del calore famigliare si può ritrovare esclusivamente presso i compagni di cella: ma – anche in tal caso – non è escluso che si possano vivere delle vere e proprie disavventure. Tra le vicissitudini di Mauro si possono annoverare tanto il forzoso allontanamento dai propri amici di cella, quanto molti episodi di convivenza indesiderabile, per non dire intollerabile.
Sicché a ben vedere ciò che troneggia in tutto il carcere altro non è, che una opprimente sensazione di solitudine ed impotenza.
Nel suo – sia pur umile – intento di evidenziare i disagi, ma anche le consolazioni, di chi popoli i carceri del “nostro” Nord Est, questo libello invita a riflettere. Invita ad interrogarsi sugli scopi della Giustizia e sulla reale efficacia di un sistema inefficiente ed irrazionale che – ad oggi – non riesce realmente ad adempiere al proprio mandato risocializzante.
Questo libro – sia pur breve – non va preso alla leggera: è una lettura impegnativa e difficile, se non altro da un punto di vista squisitamente umano, ma al contempo necessaria.
Una lettura che illustra senza filtri e senza abbellimenti retorici la durezza della vita nelle “nostre” carceri, sollevando profondi interrogativi nel lettore.
Riferimenti: Mauro Guerretta, Cella 304, Edizioni Federica, Treviso, 2021.