Uno scritto di Luigi F. Daniele.
Quando accadono fatti come quelli successi alla manifestazione di Torino del 4 ottobre, è sempre facile cadere nel semplicismo dando ragione all’una piuttosto che all’altra parte – in base a sensazioni di pancia – senza conoscere il diritto e la norma che disciplina la fattispecie e la ratio di quest’ultima.
La situazione è complessa, perché abbiamo da un lato il diritto sacrosanto degli studenti di manifestare (art 17 Cost), e dall’altro il dovere delle forze dell’ordine di garantire la pubblica sicurezza.
Generalmente quando la polizia ordina un cordone di contenimento è perché vuole evitare o impedire che i manifestanti raggiungano un luogo diverso rispetto a quello individuato dalla manifestazione.
Ad esempio: hai diritto di manifestare ma con dei limiti, perché non è un diritto assoluto, non si estende in tutti i luoghi, in quanto l’autorità pubblica può impedire che una determinata manifestazione raggiunga determinati luoghi.
Mettiamo, con un esempio concreto, che un corteo voglia raggiungere ed occupare la sede del luogo in cui arriverà un personaggio politico.
Queste situazioni vengono disciplinate del T.U.L.P.S. (TESTO UNICO DELLE LEGGI DI PUBBLICA SICUREZZA).
1) La prima fase è quella dell’invito, ossia il pubblico ufficiale invita i manifestanti a disciogliere il corteo/assembramento/riunione; nel caso di specie se c’è un cordone di contenimento i manifestanti vengono intimati a non proseguire la marcia ( ex art 22 TULPS).
2) Qualora l’invito non sortisca alcun effetto allora è necessario , come dispone l’articolo 23 TULPS, effettuare altre 3 intimazioni di scioglimento le quali saranno precedute da uno squillo di tromba.
3) Qualora però anche queste tre intimazioni non producano effetti, è a questo punto che il TULPS all’articolo 24 prevede che gli ufficiali possano utilizzare la forza per sciogliere l’assembramento.
È da specificare che l’utilizzo della forza deve essere sempre proporzionato al raggiungimento dello scopo, e noi non possiamo sapere effettivamente come siano andate veramente le cose, ma sta di fatto che questo è uno di quei rarissimi casi in cui il pubblico ufficiale può utilizzare la forza nonostante non abbiano subito violenza, ovvero per il solo fatto di non avere eseguito l’ordine di scioglimento.
La situazione di cui agli art 22 ss.TULPS disciplinano, come abbiamo detto, la situazione in cui gli agenti non subiscano delle violenze.
L’articolo 53 del codice penale invece disciplina un’altra situazione ancora, permettendo l’uso legittimo di armi da parte del pubblico ufficiale .
Questo articolo dispone che:
<<non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.>>
*L’articolo 53* rientra nelle cause di esclusione del reato ( o cause scriminanti) in quanto il fatto non costituisce reato, ovvero sussiste una situazione giuridica in cui un evento che altrimenti costituirebbe reato, tale non è perché la stessa legge lo consente, lo impone o lo tollera.
Differiscono dalle cause di esclusione del reato , le c.d. cause di esclusione della colpevolezza, o scusanti che sono situazioni in cui il reato sussiste ma a venire meno è il rimprovero nei confronti del soggetto, perché non l’ha commessa con dolo o colpa, o perché costretto da eventi esteriori che hanno obbligato il soggetto ad agire in quel determinato modo.
Sono ad esempio cause di esclusione della colpevolezza: il caso fortuito o forza maggiore (art 45 cp), costringimento fisico (art 46) , error facti – errore sul fatto, la coazione morale art 54 comma 2.
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